Si fa presto a ridere di Monsieur Jourdain, arrampicatore sociale beffato da approfittatori titolati, quanto squattrinati, nella Parigi di Luigi XIV. E’ più difficile, ma anche più stimolante, suggerire - come fa Filippo Dini nel Borghese gentiluomo al Duse di Genova fino al 6 novembre - che certi vizi sono sottilmente connaturati nella natura umana. E a volte hanno una loro valenza perfino commovente. In quasi quattro secoli di teatro per riaccostarsi all’opera-balletto, scritta nel 1670, presentata allora con scenografie di Jean Berain e musicata Lully, compositore italiano di punta alla corte del Re Sole, si sono scelti spesso i modi della farsa.
Filippo Dini, regista e protagonista dello spettacolo prodotto dal Teatro Stabile di Genova e da Teatro Due di Parma non cambia registro, ma sfuma con molti chiaroscuri i fuochi d’artificio: dalle lezioni che gli impartiscono i maestri di filosofia e di danza, fino alla beffa finale, che dovrebbe farlo rinsavire, il matrimonio della figlia con il “gran Turco”. In quest’operazione non mancano aggiornamenti e tagli sul testo, operati con discrezione da Cesare Garboli e ben assecondati dalle musiche di Arturo Annecchino.
Certamente più spericolate le scelte costumistiche di Laura Benzi , un pot- pourri che cita diverse epoche storiche con esiti alterni. A volte sono maliziosamente azzeccati nel loro anacronismo, come nel caso della marchesa e del suo amante, Sara Bertelà e Davide Lorino. Altre caratterizzazioni come quella “rockettara” della di Jourdain e il suo innamorato, Valeria Angelozzi e Ivan Zerbinati, non trovano invece giustificazioni.
In questo quadro, la prima parte del copione, più satirica, virata nell’irresisitibile buffoneria conclusiva senza cesure, lasciando che i contrasti emergano soltanto attraverso la malinconia del protagonista. Meritati applausi per Ilaria Falini. Filippo Dini e Orietta Notari, quest'ultima nella parte di Madame Jourdain, si confermano tra i più grandi interpreti del teatro italiano. Se in Ivanov Dini aveva dato ritmo allo spleen cechoviano, qui conferisce alla “maschera” lo spessore di un personaggio a tutto tondo; Orietta Notari lo affianca declinando senza stereotipi la caratteristica femminile della concretezza.