Una scenografia azzeccata, basata sui colori e sul movimento delle forme, essenziale, che costringe lo spettatore a immaginare quello che non c’è. Un cast vocale pimpante, incalzante, bene assortito. Una direzione d’orchestra energica, a volte travolgente, capace di gestire una tessitura musicale intensa voluta dal compositore per sostenere i ritmi di una narrazione brillante.
E’ Il Cappello di Paglia di Firenze, farsa musicale in quattro atti firmata da Nino Rota, andata in scena al Carlo Felice di Genova come terzo titolo della stagione.
Buona l’intuizione del direttore artistico Pierangelo Conte e del sovrintendente Claudio Orazi di riesumare l’allestimento firmato nel 2007 da Damiano Michieletto (che nel frattempo si è affermato a livello internazionale).
Unn piano inclinato che ruota
Il nucleo centrale è proprio la scenografia immaginata allora da Paolo Fantin. C’è una pedana girevole, tanto inclinata da domandarsi come facciano i cantanti a muoversi normalmente. Quattro ambienti stilizzati che ruotano, si sovrappongono e cambiano proprio grazie alla rotazione e allo spostamento di pareti mobili (a forza di braccia, con biancovestiti inservienti-ballerini in scena).
C'è una cornice rettangolare di luce che sovrasta la scena, colorando i contorni di sfumature prevalentemente sul verde: a fare emergere i protagonisti sono i fari centrali, che mettono in evidenza i costumi eleganti e colorati che si stagliano sulle stanze bianche. Luci di Luciano Novelli, costumi di Silvia Aymonino, ben conosciuta a Genova.
Intreccio di situazioni paradossali
In questo allestimento l’ambientazione parigina è stata spostata avanti quasi di un secolo, dall’originale metà dell’800. Tutti i personaggi sono comici, paradossali e iperbolici come è giusto in una farsa: l’unica “sana” è la promessa sposa Elena, che sembra sempre malinconicamente sul punto di dire “che ci faccio qui?” e desiderosa di un po’ di normalità. Protagoniste sono pure le porte, che si aprono e chiudono in continuazione, con gente che viene e gente che va: che farsa sarebbe, altrimenti?.
Nino Rota avrebbe potuto essere agevolmente il Gioacchino Rossini dei tempi moderni: stessa voglia di scherzare in modo raffinato, stesso brio spiritoso. Ma si sentono anche suggestioni e atmosfere da film (sarà l’imprinting, visto che lo abbiamo sentito soprattutto al cinema) e citazioni ad ampio spettro da Mozart a Bernstein passando da Wagner. La direzione di Gianpaolo Bisanti è riuscita ad assecondare in modo convincente tutto ciò.
Esilarante l'Aria del Pediluvio
Il tenore Fadinard è il protagonista: aspirante sposo costretto a disertare la cerimonia di nozze per dare la caccia a un fantomatico cappello di paglia di Firenze, per sostituire quello divorato dal suo cavallo. Marco Ciaponi è efficace nella parte, che prevede la capacità di passare dai modi odiosi alla sconsolatezza per l’impresa disperata. Nonancourt, basso, possidente agricolo papà della sposa, è interpretato da Nicola Ulivieri che rende bene la comica e potente irruenza del personaggio.
Il marito tradito Beaupertuis, basso, è Paolo Bordogna: risate a scena aperta per la sua Aria del pediluvio. L’aspirante sposa sconsolata Elena, soprano, è Benedetta Torre: pari nella bellezza e nella capacità di liberare gli acuti più impervi.
Relax divertente
Anaide, soprano, la moglie traditrice di Beaupertuis, è Giulia Bolcato. Non ha molto tempo in scena, ma anche nella voce sa dosare le caratteristiche della parte: rendendo bene da una parte la spavalderia della bella donna matura sensuale, e dall’altra l’insicurezza e la preoccupazione di chi sa di essere in difetto e ne teme le conseguenze. Si esce dal teatro con la soddisfazione di puro e leggero divertimento.