Prosa
IL PADRE

La follia di un dubbio senza tempo

La follia di un dubbio senza tempo

Un gigante come Gabriele Lavia può permetterselo.
E meno male, perché “Il padre” prodotto dallo Stabile della Toscana e dallo Stabile di Genova non è soltanto una prova d’attore mozzafiato.

Il testo di Strindberg, certamente non facile, specie nella prima parte che prepara con qualche lentezza l’esplosione emotiva finale, merita di essere conosciuto per la sua forza di provocazione intellettuale, non soltanto per l’appeal del protagonista. Scritto nel 1887, otto anni dopo “Casa di bambola” (scene da un matrimonio che aprono il sipario sulla condizione della donna all’interno della famiglia e della società), “Il padre” ribalta il punto di vista di Ibsen “dalla parte di lui”.
La trama, sfrondata dai suoi risvolti psicologici e psicanalitici, potrebbe sembrare perfino datata.

La prova del Dna

Un capitano dell’esercito, autoritario con i suoi attendenti, nella quotidianità casalinga non riesce invece a imporre le sue idee sull’educazione della figlia. Nel frattempo nella sua mente gli insinua, forse gli viene iniettato proprio per destabilizzarlo, il sospetto che la ragazzina non sia sua. Il tarlo lo porta alla pazzia, in una concertazione che l’allestimento sottrae, giustamente, alle coordinate del salotto borghese e colloca in una dimensione di tragedia dove l’epoca non conta.

Di fronte al tripudio di velluti rossi che traboccano dal palcoscenico, dilatando un’idea sontuosa di teatralità nella scena di Alessandro Camera, alla finestra che sullo sfondo apre uno spiraglio infinitamente nevoso, a tutti i personaggi che alla fine assediano il protagonista uscendo come fantasmi dalle quinte, non si può certo dire che questa ossessione non ci sarebbe stata se l’uomo avesse avuto a disposizione la prova del Dna.

L’uomo dell’Ottocento

Non c’è bisogno di costumi contemporanei, e giustamente Andrea Viotti non tradisce colori e linee ottocentesche per dire che quel dubbio è biologico e ontologico al tempo stesso. E’ l’eterna impotenza dell’uomo di fronte alla maternità, a quella forza che, nell’atto del concepimento, delega alla donna generando dentro di sé un’insicurezza ben più profonda rispetto a un eventuale tradimento.

In più di due ore e mezzo senza intervallo, Lavia si concede qualche citazione shakespeariana, vedi i due giovani soldati che ricordano due fool per un controcanto di dolente ironia. Qualche accelerazione o piccolo taglio in avvio non guasterebbe per far meglio risaltare i lampi a volte folgoranti della conclusione.

Tra gli interpreti, eccellente è il confronto-contrasto tra il capitano e le figure femminili Federica De Martino, la moglie, Anna Chiara Colombo, la figlia, e una nutrice straordinariamente inquietante, Giusi Merli, fata e strega con note che evocano un’ infanzia arcana.

Visto il 13-03-2018
al Ivo Chiesa di Genova (GE)