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L'accogliente TeatroBibliotecaQuarticciolo ha ospitato Il Ritorno, progetto-spettacolo che nasce da una attentissima analisi sociale di una periferia del nord Italia. La sensibilità attraverso cui Veronica Cruciani riesce a cogliere ascoltando, guardando, quasi frugando nei racconti delle persone che intervista, le garantisce una lucida e sentita rielaborazione teatrale.
Tanto deriva, anche in questo spettacolo, dalla sempre più affermata corrente teatrale cosiddetta di Narrazione, movimento che tende a ridare alla semplicità della parola e dei silenzi quella forza espressiva e visionaria che riesce a creare tra gli spettatori un collante speciale, un ritrovarsi presenti, soggetto e oggetto di una storia orale comune, la storia dei piccoli uomini brechtiani, hic et nunc. La carta velina che isola gli spettatori viene travolta e spazzata via, via tutto, resta, oltre alla scoperta di una comunità viva, solo una grande e scomoda figura: l'incomunicabilità.
La Cruciani risolve la scenografia posizionando una sorta di palcoscenico dentro il palcoscenico ricordando il raffinato gioco del teatro nel teatro: la dolorosa e lucidissima denuncia della finzione artistica nei confronti della vita. Luci ed ombre svelavano il dietro le quinte per annientare quella comune curiosità che spinge sempre lo spettatore a domandarsi cosa ci sarà lì dietro. Le quinte via. I piedi ben piantati in terra, non c'è niente che non sia strettamente necessario, la cadenza dialettale che conferisce una forza concreta al corpo d'attore, i movimenti resi all'osso, i quattro attori sempre in scena che si ascoltano tra di loro: l'uno prevede la presenza dell'altro, convince proprio tutto. Tutto deve essere immediato, tutti devo essere catapultati dentro, tutti devono avere il tempo e la voglia di riflettere sulla nostra ormai ingombrante incapacità di comunicare, senza quelle distrazioni tanto care alla nostra società.
Il palcoscenico interno è il luogo dove tutto si condensa, dove i nodi, seppure senza sciogliersi, finalmente vengono al pettine, poi c'è il palcoscenico vero, buio, dove gli attori sicuramente aspettano il loro turno, eppure così non sembra, piuttosto pare come se attraverso il passaggio da luce ad ombra l'attore attua una sorta di straniamento offrendo al pubblico la possibilità di conoscere quella parte del ruolo d'attore che analizza, studia e ricerca la necessaria distanza tra l'uomo-attore-artefice e il personaggio.
L'arte è finzione ed è questo a renderla uno strumento tanto necessario per la riscoperta dell'uomo, della sua totalità delicatissima e brutale, elegantissima e volgare, l'arte come una pausa, una sospensione che ti permette di guardare un oggetto a tutto tondo come fosse una scultura.
Visto il
al
Vittorio Emanuele - Sala Laudamo
di Messina
(ME)