L’esecuzione: poesia atroce nella prigione del disertore

L’esecuzione: poesia atroce nella prigione del disertore

Accecato, mutilato, stretto da lacci che rimarcano la sua impossibilità di fuggire, il disertore, Vittorio Franceschi, aspetta di essere fucilato da un plotone di bambini. C’è una donna al suo fianco, Laura Curino, che non serve per sorvegliarlo e non può alleviarne le sofferenze ma che è madre, vestale, soprattutto proiezione di un suo disperato desiderio. Di comunicare, di capire. Questa è “L’esecuzione”.

Da Bosch al surrealismo

Perché, a un certo punto, è fuggito dalla battaglia della vita? Se scava dentro se stesso, può sperare che la morte, cercata prima che gli altri decidessero di infliggergliela, coincida con la luce della speranza. Su una scena che richiama inquietudini senza tempo e anche un day after, dopo l’esplosione atomica di tutte le certezze, Franceschi si libra sul testo che ha scritto condensando anni di arte teatrale tra tradizione e ricerca, sottolineandone magistralmente la dimensione visionaria e immaginifica.
Come un profeta sconfitto incatena e scioglie metafore, invenzioni poetiche e citazioni che spaziano dalla drammaturgia alla letteratura e alla pittura, con immagini che vanno da Bosch al surrealismo. In questo vortice Laura Curino si cala calibrando nostalgia, pessimismo e speranza.

L’assenza di trama per esaltare la potenza della parola

Marco Sciaccaluga raccoglie da suo pari la sfida lanciata alla regia: drammatizzare il lirismo, l’assenza di trama e le indicazioni dell’autore nel copione che non vogliono fare dell’immobilità un limite, ma un’opportunità per esaltare la potenza della parola.