Un fattore a nostro avviso imprescindibile per determinare il valore di una regia d'opera, è la rispondenza tra gesto e nota. Il M° Francesco Bellotto ha fatto del sottotesto, o per meglio dire sopratesto musicale di Niccolò Piccinni, elemento fondante su cui innalzare il proprio meccanismo scenico che, ne La Cecchina ossia la buona figliola, è stato esteso ben oltre l'ambito della pura e semplice gestualità fino ad avere toccato la sfera delle emozioni. Il titolo presentava caratteristiche peculiari. Innanzitutto la produzione della Fondazione Teatro La Fenice debuttata al "Donizetti" di Bergamo (esaurito in ogni ordine) era frutto della meticolosa ricerca storica operata dallo stesso Bellotto che ha portato alla riscoperta di un manoscritto datato 1780, profondamente difforme dalla più celebre versione edita da Ricordi, conformata al gusto tardo romantico. Il libretto (la cui prima stesura era pensata per Egidio Romualdo Duni) reca lo spessore descrittivo di Carlo Goldoni; il suo modello ideologico è solo all'apparenza l'italianizzazione, motivata dagli obblighi operistici cui i compositori erano assoggettati tra il 1740 ed il 1756, della fonte letteraria ispiratrice Pamela, or virtue rewarded, romanzo epistolare di Samuel Richardson del 1741. Nel processo di metamorfosi, il romanzo, poi la commedia, infine il libretto subirono diversi trattamenti, ma tutti hanno fatto salva la forte componente passionale derivante dalla comédie larmoyante. La sentimentalità è divenuta protagonista per Bellotto, il quale con rispettosa intuizione, ha fatto proprio sia l'assetto scenografico che la proiezione nel futuro, elementi goldoniani che rendono i valori universali e senza tempo. Egli ha indagato il percorso compiuto attraverso i secoli dalle convenienze sociali, mutate nella forma ma non nella sostanza: il denaro ha preso il posto del lignaggio. Il Marchese, sotto una parvenza giocosa e serena, nasconde un'indole ambigua e scabrosa; adduce il censo per ottenere vantaggi sessuali. Tradotto ai giorni nostri, il potere viene utilizzato per prevaricare gli umili. Non a caso Goldoni rifiuta di farsi travolgere dagli impeti dilaganti di libertà ed uguaglianza, all'epoca come oggi racchiusi entro la sfera ideale e scollati dalla realtà dei fatti. Iter filologico che in questa Cecchina è stato racchiuso nel rimando esplicito ma non soffocante al cinema muto, sinonimo della rinascita culturale e sociale negli anni Venti, che ha fatto da sfondo alla sinfonia: innovativo contrappunto alla chiave iconografica usata da Goldoni. Il commediografo veneziano non risente delle gabbie imposte da metrica e rime e indulge volentieri ai consueti lazzi che il disegno registico drammaturgicamente accorto non ha ricondotto a certa esteriorità farsesca tipica delle Maschere della Commedia dell'Arte, bensì ha desunto da un'attenta scansione caratteriale e psicologica, pur avendo sfruttato con piena efficacia gli input della vis comica. Operazione condotta nel pieno rispetto dei due autori e sapientemente traslata perfino all'ambientazione, divenuta personaggio a tutti gli effetti: vedasi il mirabile utilizzo del clochard (Tiziano Ferrari). La compenetrazione tra i piani espressivi costituiti da parole e musica, tra Goldoni e Piccinni, nel presente tra il regista Bellotto e il maestro concertatore e direttore Stefano Montanari, è stata tangibile, viscerale, osmotica; tanto da rendere impossibile un commento vocale disgiunto dalla resa scenica. L'organico dei Solisti dell'Orchestra del "Bergamo Musica Festival" composto da 12 elementi e collocato in platea anziché nel golfo mistico, si è mostrato estremamente efficiente per l'orchestrazione atta a connotare ogni soggetto: Tagliaferro con le trombe; Cecchina con flauti oboi e arpe; Sandrina e Mengotto con archi e corni mentre le due figure nobili con fagotti corni ed archi. Le coppie di caratteri hanno presentato omogeneità vocale nelle intenzioni così come sono risultate perfettamente bilanciate in questo allestimento. I caratteri seri Cavaliere Armidoro (Sandra Pastrana) e Marchesa Lucinda (Tomoko Masuda), valorosi esecutori della scrittura belcantistica ricca di colorature, hanno mediato l'agilità confacente al buffo con la sensibilità dovuta alle arie commoventi. Somma di enfasi recitativa e grande impatto melodico. I mezzi caratteri Cecchina (Gabriella Costa) e Marchese della Conchiglia (Matteo Falcier, al debutto in una parte principale) hanno ottimamente sostenuto i rispettivi ruoli necessitanti di padronanza stilistica più che di estensione. A loro era richiesta, e hanno denotato, espressività negli slanci emotivi e capacità nel supportare con leggerezza la necessaria dovizia tecnica. Mengotto (Enrico Marabelli) e Sandrina (Valentina Vitti) pur incarnando tipologie buffe hanno avuto un esordio ai limiti del patetico, lui con un'aria da suicida che finisce in burla, lei per i toni da bisbetica cattiva. Estrema duttilità quindi nell'essersi rapportati agli "sbalzi" imposti dallo spartito. Infine i servi, buffi caricati, i quali dal punto di vista musicale hanno ben appreso i canoni di una scrittura sillabica, in dialogo sinergico tra loro: Paoluccia (Kanae Fujitani) nelle vesti di un'esilarante Nanny afroamericana, e Tagliaferro (Leonardo Galeazzi) entrambi hanno correttamente sorretto la voce affidandola agli effetti caricaturali; la prima linguistici, il secondo strumentali. Tagliaferro è l'unico personaggio ad avere conservato i connotati di Maschera vera e propria; è lui ad imprimere un diverso corso alla vicenda sciogliendone l'enigma. Al comico quindi è demandato il compito di risolvere la situazione; il plot si svela perciò essere elogio della follia. Eloquente a tal proposito l'uscita dal boccascena di Cecchina, coincisa con l'abbandono dell'innocenza e dell'onestà (tema precursore della provvidenza manzoniana): omaggio a quella teatralità stessa che anche Goldoni aveva inteso ossequiare.
Lirica
LA CECCHINA OSSIA LA BUONA FIGLIOLA
La Cecchina a Bergamo: esaltato il sentimento
Visto il
18-11-2011
al
Donizetti
di Bergamo
(BG)