Prosa
LA DODICESIMA NOTTE

Il respiro giovane della 'Dodicesima notte'

Il respiro giovane della 'Dodicesima notte'

L’allegria di naufragi veri e metaforici in un mondo di equivoci di beffe, di  fantasia, di malizia e di fiaba ha messo spesso in imbarazzo i registi contemporanei alle prese con La dodicesima notte di Shakespeare. Molti la affrontano come se il divertimento fosse un peccato mortale, da riscattare con un’evidenza invadente del sottotesto. Non soffre di questi complessi, per fortuna l’allestimento prodotto dallo Stabile di Genova, in prima nazionale al Duse di Genova, con regia di Marco Sciaccaluga.

I giovani attori in scena, passando dall’esercitazione dello scorso anno a uno spettacolo rifinito in tutti i dettagli,  hanno maturato esperienza senza perdere in freschezza. Sciaccaluga  non ama “l’ingenuità”. Scava in ogni dettaglio dei copioni e delle interpretazioni. Analizza tutte le varianti del possibile refrain “la vita è sogno” e non trascura gli spunti di teatro nel teatro  che stanno dietro gli innamoramenti di Viola sotto le mentite spoglie di Cesario e di Orsino, del suo fratello gemello Sebastiano e di Olivia. Non soffoca mai, tuttavia, il sorriso con le intellettualizzazioni.

Scritta per la corte e  per gli universitari così come per  il pubblico scalmanato del Globe, La dodicesima notte, anche in questa confezione, conserva diversi livelli di gradimento. In certi passaggi la commedia degli equivoci sfiora la tragedia con un linguaggio poetico alto che non prende il sopravvento su quello dei “comici”. Caratteristica originale di questo allestimento è invece il porre tutti i personaggi sullo stesso piano: il gioco è sottolineato da qualche lieve sfumatura autoironica nell’interpretazione degli innamorati e da un disincanto anche filosofico lasciato trasparire invece dagli altri. La scena è nuda, con attori che non entrano e escono ma si siedono ai lati del palco quando non è il loro turno, per eliminare ogni diaframma tra realtà e finzione. I costumi di Guido Fiorato assecondano un disordine senza tempo e l musiche pop sono un contraltare elettrizzante alle parole del Bardo tradote da Anna Laura Messeri.

Viola, sbattuta da una tempesta sulle sponde di un’esotica Illiria, travestita da paggio e, in questi vesti,  innamorata di un uomo ma amata da una donna, è il personaggio che condensa la maggior dose di ambiguità, tanto più se si pensa che nell’originale era un attore non un’attrice a interpretarlo. Daniela Duchi le regala  un’appassionata  baldanza e Roxana Doran incarna bene la durezza fragile di Olivia. Bravi e appaluditi Marco De Gaudio (Orsino), Michele Maccaroni (Sebastiano), Mauro Cangiano, Francesco Russo,  Emanuele Vito, Sarah Paone, Giovanni Annaloro. Ciascuno ha un doppio ruolo. E  la necessità di distribuzione diventa virtù interpretativa, sfoggio di duttilità. Attenzione particolare del pubblico nei confronti di Malvoglio, vittima della perfida beffa che si incastona tra gli equivoici. Si stacca dal coro come un protagonista e non è un caso che sia stato sempre affidato a nomi di punta. Qui Roberto Serpi non li fa rimpiangere. Indimenticabile la sua maschera malinconica nel tripudio del lieto fine

Visto il 15-11-2016
al Eleonora Duse di Genova (GE)