Lo spettacolo La Luna diretto da Davide Iodice non è la messa in scena di un testo teatrale né di un percorso attoriale, ma un contenitore che assorbe e amplifica in gesti, frammenti di vite provenienti dal ‘fuori’, dal mondo ‘vero’.
Una voce racconta la storia di un oggetto presente in scena, e del significato che ha avuto nella sua vita. Un oggetto portato, lasciato per questo spettacolo dalla persona di cui si sente la storia, per liberarsi di un trauma, un ‘reperto’ quasi fosse il frutto di uno scavo, ma in questo caso nel profondo abisso dell’interiorità. La voce agisce quindi mentre contemporaneamente gli attori rappresentano in scena la stessa storia in gesti. Si assiste, con più o meno partecipazione, a una sequenza di dolori strappati, tragedie gettate via come ‘scarti’ ma emotivi.
Una drammatugia collettiva
Siamo di fronte a un tentativo in cui l’attore, il regista, si pongono al servizio delle persone e dei loro racconti. Fin dalle sue origini, con il laboratorio durante il Napoli Teatro Festival del 2018, La luna è frutto di una ‘drammaturgia sociale’ e viene costruito sul vero incontro con chi offre il proprio ‘scarto emotivo’, raccontando l’oggetto di cui liberarsi. Da quei racconti registrati, da tragedie private, nasce lo spettacolo.
Ogni replica prevede lo stesso incontro pre-spettacolo con il pubblico, o meglio con chi del pubblico vuole condividere un oggetto e liberarsi, nel racconto, del suo significato profondo. Si può dire che questo gesto sembra una presupposto non secondario de La luna. Un accordo, un patto sotteso, un atto dal sapore psicoanalitico, che diventa anche chiave interpretativa di ciò che si sta per vedere.
Oltre ad essere la base per una drammaturgia in continua evoluzione. Questo momento catartico, di liberazione collettiva è l’azione-premessa che viene restituita nella messa in scena in cui si racconta di amore, di violenza, di morte, di dolori profondi e tragici legati alle storie delle singole voci.
Strade autonome
Oltre l’operazione fuori la scena, la raccolta di storie, il dialogo e la costruzione di una drammaturgia ‘sociale’, nell’ evento performativo ogni oggetto prende una strada autonoma. Chiavi, gabbiette, luci di una palla, siringhe, foto, crocifissi, ogni oggetto rivive sul palcoscenico: la rappresentazione scenica dà una nuova vita all’oggetto e alla sua storia dal sapore tragico.
Gli attori-performers diventano il colore anche plastico di ciò che la voce racconta, rendendo fisco il racconto della voce. La scenografia mobile, strutture cubiche che si prestano a varie funzioni, fa da sfondo a volte poetico alla sequenza di tragedie in cui la voce registrata prevale sull’azione fisica e illumina l’oggetto.
L’azione catartica della condivisione del ‘protagonista’ diventa lo sfondo immaginato mentre la storia ripetuta, di sera in sera, ripropone l’evento tragico personale che può diventare momento in cui identificarsi o anche solo incontro emotivo con un mondo.
Risulta quindi chiaro il senso di una ricerca attiva, basata sulla generosità e sul un dono di persone. Probabile il risultato drammaturgico che propone una catalogo di situazioni senza evoluzione catartica. Sicuro l’impatto su un pubblico accompagnato per un’ora in una sequenza di ‘scarti’ dolorosi ancor più poeticamente percepiti nel caso in cui a sua volta avesse contribuito, prima di vedere lo spettacolo, al suo ‘meccanismo’ con la propria storia e il proprio oggetto. La Luna è risultato vincitore nel 2019 del Premio ANCT (Associazione Nazionale Critici di Teatro).