Portare in scena un classico popolare come "L'Avaro" di Moliere non è compito facile, soprattutto quando il regista è un intellettuale sapido e coerente come Arturo Cirillo, la cui cifra stilistica è sempre il risultato di una sincera ispirazione, di un colto approfondimento e di una rispettosa attenzione per un pubblico che mostra sempre, giustamente, di gradire le sue creazioni. Dopo averci lo scorso anno spiazzati e convinti con un "Otello" che in maniera originale metteva in risalto il lato insospettabilmente comico di una delle più accorate tragedie di Shakespeare, quest'anno Cirillo, per l'apertura dello Stabile di Napoli, rovescia il gioco e decide di evidenziare il lato noire della comicissima commedia molieriana. Ecco quindi Arpagone, vecchio, vecchissimo, depauperato da ogni orpello, vestito di nero, coi capelli bianchi ed arruffati di un barbone, rinsecchito dalla sua avarizia che lo porta a ripiegarsi, anche fisicamente, su se stesso. Un'avarizia, la sua, come il bellissimo finale dichiara esplicitamente, che trascende dalla cupidigia per il denaro, ma che è una sorta di morbo che lo allontana dai suoi affetti, e che si espande in tutta la sua casa e sulle persone che la abitano, come gli intelligenti costumi di Gianluca Falaschi interpretano in maniera egregia grazie all'apporto pittorico di Silvia Fantini che fa contaminare i colori originali facendoli impregnare parzialmente del nero catramoso umore del padrone di casa. Nelle vesti del protagonista, così come lo ha ideato, Cirillo risulta assolutamente impeccabile, surreale e strisciante, inquietante come un personaggio di Allan Poe, ci dichiara fin dal suo ingresso in scena quello che è il suo progetto stilistico-registico senza superare mai la barriera del gigionismo. Purtroppo, ed è qui l'unica nota dolente dello spettacolo, non tutto il cast lo segue, apparendo spesso schiacciato da un compito non facile. Fanno eccezione la sempre brava Sabrina Scuccimarra, convincente Frosine, anche se forse un pizzico più vicina a Moliere che a Cirillo, ed Antonella Romano, la più calzante, a nostro avviso, al progetto registico, che dà vita alla smarrita ed incontaminata Mariana. Piacevole, infine, il divertente (troppo, date le intenzioni di Cirillo) Valerio di Luciano Saltarelli. Sospendiamo il giudizio per gli altri, convinti che, se si intraprende la strada di una riproposizione di classici con regie dal grande respiro internazionale, come effettivamente sono quelle firmate da Cirillo, forse bisognerebbe rivedere il progetto di una compagnia stabile, poiché, evidentemente, non tutti gli attori possono interpretare tutto.