Prosa
LE ALLEGRE COMARI DI WINDSOR

Il massimo sforzo per...

Il massimo sforzo per...

Una maestosa scultura della regina Elisabetta I in trono occupa buona parte della scena. Con grande irriverenza, è tra le gambe della cosiddetta Vergine di Ferro che avviene l'andirivieni dei personaggi tra un ambiente all'altro.

Questa commedia fu commissionata al Bardo proprio dalla sovrana omaggiata e dileggiata dallo scenografo Luigi Perego. E si sente, in questo testo, una mancanza di personale ispirazione da parte del più grande drammaturgo della storia, impegnato a metter giù una farsa da manuale - nel senso dispregiativo del termine. Questa superficiale analisi serve ad avvertirvi che il testo, di per sé, non ha la forza del classico Shakespeare.

Eppure l'adattamento del regista Fabio Grossi e di Simonetta Traversetti ci mette nel suo, infarcendolo di un linguaggio scurrile lontano dall'idea e dal ricordo che abbiamo del dialogo poetico del commediografo inglese. Una scelta dettata dalla necessità di adeguarsi ai tempi? Qualche risata in più la si guadagna, ma a che costo?

Per fortuna a catalizzare le nostre attenzioni c'è il magnifico Leo Gullotta, irriconoscibile e trasfigurato nel corpo, nella voce e nell'atteggiamento richiesti dal ruolo dell'obeso Sir John Falstaff - convincente e irresistibile, per farla breve. A seguire, le protagoniste che danno il titolo all'opera, la signora Page (Rita Abela) e la signora Forge (Valentina Gristina), comari volutamente sopra le righe, con i loro falsi melodrammi e le loro risate stridule, burattinaie di tutta la serie di scherzosi complotti ai danni di Falstaff, colpevole di aver cercato di sedurre entrambe per attingere ai loro patrimoni.

La commedia è corredata da comprimari machiettistici, come il Dottor Caius, medico francese, e Sir Evans (Paolo Lorimer), il curato gallese, costretti ad accentuare i loro tratti caratteristici - nel primo caso una parlata a metà tra il francese e l'italiano/inglese, nel secondo caso un latino ecclesiastico da manzoniano "latinorum"; così come Monna Quickly (Mirella Mazzeranghi), i cui dialoghi sono infarciti di giochi di parole dettati dalla sua ignoranza, o il gaio Slender (Fabrizio Amicucci). Tutte scelte che, all'atto pratico, minano la fluidità e la comprensibilità delle battute. Un problema riscontrabile anche negli stacchi musicali previsti e che è bene aspettarsi.

Tirando le somme, i grandi sforzi del pur buon cast, aiutato da un ottimo lavoro di scenografi e costumisti, per colpa di limiti intrinseci della piéce e della regia, portano a risultati non all'altezza delle aspettative e delle energie profuse. Il che è un vero peccato.

Visto il 04-02-2011
al Curci di Barletta (BT)