L’Opera di Firenze sta dedicando sempre più attenzione al repertorio francese e, dopo Pelléas et Mélisande visto al Maggio e la recente Voix humaine, è la volta dei Pêcheurs de perles con cui il giovane Bizet debuttò sulla scena lirica. L’opera ebbe un successo alterno: non completamente apprezzata all’epoca della creazione, divenne poi particolarmente popolare (anche in Italia in una versione italiana) grazie ad alcune storiche voci tenorili che fecero del ruolo di Nadir un cavallo di battaglia: Beniamino Gigli, Nicolai Gedda e soprattutto Alfredo Kraus. Dopo un periodo di oblio l’opera sta tornando sui palcoscenici internazionali incontrando il favore del pubblico per una scrittura vocale raffinata e una melodia incantatoria che lascia il segno nella memoria uditiva dell’ascoltatore.
L’allestimento in scena ora a Firenze è quello firmato da Fabio Sparvoli per il Teatro Lirico Giuseppe Verdi di Trieste (visto un paio di anni fa anche a Parma e recensito dal sito), uno spettacolo convenzionale che non cerca particolari riletture o approfondimenti, ma che funziona in quanto fornisce una cornice esotica stilizzata e gradevole all’occhio, adatta a mettere in rilievo il respiro melodico della partitura, che, considerato l’intreccio poco credibile e il libretto intriso di un oriente anacronistico e fittizio, è il vero protagonista dell’opera. Lo scenografo Giorgio Ricchelli ambienta la vicenda su bianchi rilievi ondulati coperti di luccicanti concrezioni saline o sabbie coralline con tronchi salmastri che alludono all’oceano che si immagina (ma non si vede) oltre l’orizzonte. Nel corso dell’opera la scena si arricchisce di elementi che alludono all’antica Ceylon: la grande testa di pietra praticabile adagiata sulla spiaggia, il tempio rivestito da radici nella foresta che ricordano le sculture e i templi rupestri di Polonnaruwa. Le luci di Vinicio Cheli, declinate nei toni del blu, dell’azzurro e soprattutto del turchese, sono fondamentali per suggerire una tinta da favola orientale e notturna e accendono i generici costumi delle masse (Alessandra Torella) di toni rosa e arancio evocativi dell’India; più caratterizzanti ai fini dell’ambientazione esotica i costumi e gli accessori delle danzatrici. Come si conviene a un’opera che ha i tratti della tragédie lyrique, ma anche del grand-opéra, ci sono numerosi interventi corali e balletti; la coreografia di Anna Rita Pasculli adotta un mix di danza classica ed esotismo stilizzato, ma riconoscibile, nel tipico ondulare del capo e delle braccia. Qualche perplessità la danno sempre le bocche spalancate in un grido muto e i ballerini dipinti di blu come le divinità induiste.
L’opera ha la particolarità di basarsi su soli tre protagonisti e un comprimario, da cui la necessità di curare al massimo sfumature e interpretazione. Il primo cast proposto a Firenze (che ha sostituito all’ultimo quello previsto) non spicca per qualità vocali intrinseche e non possiede quella declamazione francese necessaria per valorizzare tutte le potenzialità dell’opera. L’elemento più debole è stato il Nadir di Jesus Garcia, per la voce troppo leggera e poco caratterizzata a livello timbrico e la sua grande aria “Je crois entendre encore” ha lasciato indifferenti. La Leila di Ekaterina Sadovnikova ha voce gradevole e ottima musicalità che si addicono ai delicati gorgheggi d’usignolo alla fine del primo atto; la voce leggera ha inevitabilmente dei limiti nei momenti di maggior scarto drammatico e il personaggio risulta un po’ passivo. Se pur parte baritonale, Zurga prevede marcate incursioni nell’acuto che Luca Grassi ha saputo reggere con voce e tecnica solide confermandosi il migliore dei tre protagonisti. Bene anche il Nourabad di Nicolas Testé per la voce sonora e il fraseggio da madrelingua.
Molto applaudito dal pubblico fiorentino il giovane direttore Ryan Mc Adams per il giusto equilibrio raggiunto fra toni estatici e introspettivi e slanci drammatici, con una direzione che valorizza la varietà propria della partitura. Il direttore ha giustamente preferito concentrare le impennate dinamiche negli interventi corali e orchestrali, adottando invece sonorità più contenute nell’accompagnamento delle voci soliste.
Decisamente buona la prova del Coro del Maggio, dal canto preciso e compatto, vero protagonista di questa edizione.
Ottima accoglienza da parte di un pubblico numeroso che ha mostrato apprezzamento per titolo e allestimento.