Prosa
L’ISOLA DEGLI SCHIAVI

Utopia pop

Utopia pop

Gialli e rossi sparati senza risparmio: con tracotanza pop, o ironia nei confronti degli assoluti e degli assolutismi e dei moralismi? Nella versione di Strehler l’utopia politica si sfumava in un gioco sottile, un limbo dove,  sul giorno e sulla notte, predominavano albe e tramonti sovrapponibili. In questa nuova versione del dramma settecentesco di Marivaux coprodotta dallo Stabile di Genova e dallo Stabile di Nizza, le scene di Noelle Ginefri e i costumi di Catherine Rankl vanno in tutt’altra direzione. Assecondando questa cifra stilistica visiva, tutt’altro che spiacevole, perfino divertente di per sé, la regista Irina Brook spinge il pedale sull’ironia. Ma fino a un certo punto. Da questo impatto ci si aspetterebbe invece una rilettura in chiave grottesca che non si fermasse agli atteggiamenti: sulla tentazione del potere che contagia le diverse classi e molte rivoluzioni, sull’utopia stessa.

La storia è un abile mix di elementi pescati dalla tradizione tea trale e filosofica. Marivaux usa un “luogo comune”, il classico parallelismo tra la coppia dei servi e quella dei padroni, per uno scambio di ruoli che non è solo travestimento, che va bel oltre la solita commedia degli equivoci. Ificrate ed Eufrosina, i padroni, naufragano in compagnia dei rispettivi servi, Arlecchino e Cleante, su un’isola dove il governatore Trivellino ordina di fare  propria, in tutto e per tutto, la vita degli altri. Cosi facendo i padroni dovrebbero liberarsi della propria arroganza i servi del rancore e della voglia di ribellione. Non è facile all’inizio: tutti diventano peggiori dei loro antagonisti. Alla fine però la terapia funziona. E proprio questa conclusione, dopo molte scene che mettono alla berlina gli atteggiamenti dei ricchi e dei nobili e, molto più affettuosamente, quelli dei subalterni, qualche chiaroscuro non  guasterebbe. Senza scomodare Machiavelli o Marx, o pregiudicare la festosità circense, senza appesantire la favola,sarebbe lecito svincolare l’utopia da un lieto fine acritico.

Tra i personaggi, Trivellino Andrea Di Casa, Eufrosine Elena Ghigliotti, Cleante, Marisa Grimaudio, Ificrate Duilio Paciello, l’Arlecchino di Martin Chishimba si impone con piglio da protagonista che consente di sottolineare la questione dell’immigrazione. Ben calibrata la traduzione di Carlo Repetti che fa convivere gli aggiornamenti con l’eleganza stilistica del cosiddetto “marivaudage”. 

 

Visto il 21-03-2017
al Eleonora Duse di Genova (GE)