Stendhal ha definito L'italiana in Algeri “la migliore opera buffa”, non esagerando quanto a modernità di situazioni e ricchezza di soluzioni musicali. L'Opera di Firenze riprende, in chiusura di stagione, l'allestimento del 2010 coprodotto con Madrid, Bordeaux e Houston. Lo spettacolo di Joan Font, appartenente ai catalani Els Comediants, sembra un prodotto della commedia dell'arte, con i cambi scena a vista eseguiti da mimi e le soluzioni del teatro tradizionale: le onde fatte con la stoffa tesa ai due capi del palco, gli ambienti creati dai panni stesi, il mare di carta argentata sullo sfondo. Tutto molto semplice, volutamente, e al tempo stesso molto efficace; l'impressione è che questa ripresa, evidentemente con la complicità della bravura dei cantanti anche dal punto di vista attoriale, sia più riuscita dell'originale e lo spettacolo stupisce e diverte moltissimo.
L'approccio registico evidenzia il carattere favolistico e l'azione si svolge in un tempo imprecisato. Il divertimento si accende di colori allegri e chiassosi: la messa in scena è dominata dagli enormi turbanti che tutti sfoggiano sugli abiti turcheschi, a cui si contrappone nettamente l'abito bianco con crinolina di una bamboleggiante Isabella, che poi nel secondo atto si adegua ai costumi locali con pantaloni fucsia a palloncino. Azzeccate le luci, che contribuiscono a creare atmosfera mediorientale, in particolare nel primo atto, quando escono da aperture polilobate. Scene e costumi sono di Joan Guillén, luci di Albert Faura, coreografia di Xevi Dorca. Alcune soluzioni sono particolarmente azzeccate ed esilaranti: l'animale esotico di Mustafà (un mimo bravissimo), gli eunuchi, le due guardie del corpo del Bey, le tre assistenti di Elvira dai boccoli fluo.
Bruno Campanella dirige l'orchestra del Maggio con tempi personali ma che, in questi anni, abbiamo trovato costanti e che dunque costituiscono la sua cifra interpretativa della partitura. L'inizio dell'ouverture è lento, poi, a sottolineare maggiormente il crescendo, il ritmo accelera con efficacia; nel prosieguo i tempi sono ben scanditi, ma sempre alternando qualche largo a momenti più serrati. Il suono è pulito e fresco, forse si poteva cercare qualche colore in più, come inserendo le percussioni alla turca. Oboe e violoncello sono parti soliste di rilievo, ottimamente eseguite dai maestri; adeguato l’accompagnamento al clavicembalo di Angelo Michele Errico.
Marianna Pizzolato è sempre perfettamente a suo agio nel ruolo del titolo per vocalità e attorialità; i registri sono impeccabili, come il fraseggio limpido e morbido, dove non cerca nessuna ilarità grossolana ma anzi trovando accenti di ironia aristocratica; le colorature sono nitide e fluenti; il personaggio è giocato maggiormente sull'arguzia piuttosto che sulla seduzione; nella recita a cui abbiamo assistito la cantante è parsa in gran forma e particolarmente brava sia dal punto di vista vocale che da quello attoriale, sfoggiando gesti e movenze curatissimi che divertono in modo misurato. Il Lindoro di Boyd Owen ha esordito ottimamente e la cavatina Languir per una bella, venata di malinconia, ha commosso il pubblico con voce piena e sicura e squillo potente, anche se potrebbe curare maggiormente la pronuncia. Una sorpresa Marko Mimica, da seguire nella carriera: il giovane basso sfoggia disinvoltura scenica e fisique du role e la voce è di grande interesse. Omar Montanari è un Taddeo di lusso, non il solito buffo ma aitante e dalla morbida voce e la sua prestazione non scade mai nel volgare: da manuale il duetto con Isabella Ai capricci della sorte. Ottime le prestazioni di Damiana Mizzi (Elvira), Sergio Vitale (Haly) e Lamia Beuque (Zulma). Il coro, qui limitato alla sezione maschile, è vocalmente ben preparato da Lorenzo Fratini e attorialmente strepitoso nel partecipare all’azione.