MANCA SOLO LA DOMENICA

Uno spettacolo con troppa musica

Uno spettacolo con troppa musica
Una scena sobria, un gigantesco cuore umano sulla parete di fondo, manichini neri con abiti e tessuti neri, disposti lungo le pareti di quinta, dei cubi di plexiglas trasparenti al centro del palco, questa la scena che accoglie Liboria Serrafalco, detta Borina, del paese di Tagliaborse che racconta fiera e orgogliosa, la sua storia di donna, sicca sicca, sposata a Cataldo Liuzzo, del quale ha ribrezzo, che prima l'abbandona per andarsene in Australia e poi sparisce tanto da indurla ad abbracciare la vedovanza. Non avendo tomba da visitare al cimitero, per sfoggiare abiti di macramè nero, e rose rossissime a sottolineare la passione amorosa della vedova, Borina si cerca tombe altrui nei paesi limitrofi, prima una, poi una seconda, atteggiandosi a vedova inconsolabile, fino a tenersi occupata ogni giorno della settimana, manca solo la domenica. Licia Maglietta prende uno dei racconti della splendida raccolta di Silvana Grasso Pazza è la luna, pubblicata da Einaudi nel 2007, e lo trasporta così com'è sulla scena, con una piccola licenza, trasformare in prima persona, e quindi in un racconto monologante, il testo originale, che è in terza persona. Di nero vestita, con un'acconciatura adeguata, una fierezza modesta che tradisce da un gesto ripetuto col quale si sistema i capelli, Licia Maglietta interpreta Borina con amore e comprensione per il suo personaggio, deliziandoci con un testo felicissimo, ricco di trovate linguistiche sicule, che porta in scena con sensibilità, intelligenza e divertimento, incarnando una donna che non avendo né bellezza né amore, si veste della propria vedovanza come di un sogno ambito che le viene tolto per 30 anni, tanti quanti sono quelli della scomparsa del marito (che poi ritornerà...), una vedovanza alla quale agogna con blasfema religiosità (chiedendo aiuto anche al cuore di Gesù delle effigi del quale tappezza casa) e tanto si diverte lei quanto fa divertire il pubblico. Ad accompagnarla in scena Vladimir Denissenkov, che suona il Bayan, una fisarmonica russa. Borina/Lica interagisce con la musica e la presenza in scena del musicista: è lui a indicarle le prime tombe dove cercare marito (morto), è lui a suonare una musica inopportuna facendola stizzire, è sempre Vladimir a suonare coprendo la voce del marito (quello vero) al quale lei fa cenno di non riuscire a sentirlo a causa della musica... Gli interventi musicali di Denisssenkov, per quanto splendidamente eseguiti, sono però invadenti, onnipresenti, infastidiscono la recitazione, sovrapponendovisi, sommergendola, esondandola con un profluvio continuo (e monotematico, possibile che le musiche sono tutte e sempre maledettamente allegre?) costituendo una zavorra per Licia Maglietta (che firma scene e regia) che non le permette mai di spiccare davvero il volo come avrebbe sicuramente fatto altrimenti. L'attrice è più scaltra della regista che si fa pavida e si fida poco delle sue stesse possibilità interpretative chiedendo un tappeto sonoro, quasi una rete di sicurezza, ma gli esercizi funambolici sul filo della recitazione sono belli solo quando si può cadere... Poco male però, il pubblico apprezza lo spettacolo e alla fine accoglie Licia Maglietta con degli applausi entusiastici, gridati, urlati, calorosi, abbondanti. Insomma il teatro se ne viene proprio giù. E chi siamo noi per dare torto al pubblico?
Visto il 16-02-2010
al Valle Occupato di Roma (RM)