Anche se ti chiami Tullio Solenghi, quando ti cimenti con un grande classico come Maneggi per maritare una figlia scopri che ci sono un sacco di pericoli in agguato. La commedia è stata scritta da Niccolò Bacigalupo ma è stata resa immortale dall’interpretazione di Gilberto Govi e della sua compagnia. E il problema sta proprio in questa parola: immortale.
GLI SPETTACOLI
IN SCENA IN ITALIA
Se ti mantieni fedele alla drammaturgia di scena originale, rischi di farne solo una brutta copia: gli spettatori ricordano benissimo ogni battuta, ogni smorfia, ogni passaggio, e sono pronti a spararti addosso per lesa maestà se non ti dimostri all’altezza dell’impresa in cui incautamente ci sei cimentato. Se invece provi ad innovare, interpretando il classico alla luce dei tempi moderni e della tua personale sensibilità, il rischio altrettanto probabile è che più di uno spettatori gridi subito al sacrilegio, con i relativi buuu in sala.
Tullio Solenghi, insieme a una regina delle scene come Elisabetta Pozzi, ha scelto la prima strada: e gli è andata benissimo.
Govi è una maschera, e Solenghi la indossa
Solenghi, che ha curato anche la regia, grazie anche al fatto di essere genovese ha capito che Govi non è stato solo un drammaturgo dialettale: Govi ha creato una maschera, con tutto il suo universo collegato. Una maschera come quella di Arlecchino o Pulcinella, e che quindi va interpretata seguendo i ben codificati stilemi del personaggio: senza la pretesa di innovare alcunchè.
Appena si apre il sipario, lo spettatore si rende subito conto che assisterà non a un’imitazione ma a un clone dell’originale del 1959. Stessa tappezzeria, stessi arredi, stessi particolari. Una stampa con La ragazza con l’orecchio di perla, e una stampa del porto di Genova nel 700. La disposizione del divano, delle poltrone e del restante mobilio. La scelta di usare colori tra il grigio e il viola pallido, per restituire la suggestione delle immagini della TV ai primordi.
Scene e costumi sono di Davide Livermore, ed è una cosa che non ti aspetteresti: è lo stesso Livermore che ha inaugurato per quattro volte la stagione della Scala e che mette sul palcoscenico un treno in scala 1:1. O una piscina che copre tutto il piano scenico, con gli attori che camminano nell’acqua per tutto il tempo. In una nostra intervista Livermore aveva spiegato di essere sempre molto attento all’esecuzione filologica del testo, ma che a volte si prendeva qualche libertà nell’allestimento scenico: questa volta ha deciso di usare la ricostruzione filologicamente esatta anche nelle scene e nei costumi.
L’impressione è confermata appena Solenghi/Govi entra in scena. Il trucco e parrucco è perfetto, e dev’essere costato ore di lavoro. Identici il vestito, i dettagli dell’abbigliamento. Ma soprattutto identici nei minimi particolari sono la parlata, l’intonazione, la gestualità, l’ammiccare, la camminata, gli sguardi di disincantato e paradossale stupore.
Non è un’imitazione: Solenghi riesce a riportare in vita l’originale. Lui è davvero Steva, sensale di spezie, non tirchio ma parsimonioso, alle prese con le stranezze della moglie Giggia e della figlia Matilde.
Elisabetta Pozzi usa la sua anima ligure e resuscita Giggia
Già: che dire di Giggia/Betta Pozzi? Elisabetta Pozzi vive da tempo altrove, calca i palcoscenici più importanti in Italia, ma è nata a Genova e si è formata alla scuola del Teatro Stabile genovese: per questo non ha avuto alcun problema a trasformarsi a sua volta in un clone di Rina Govi, cadenza strascicata genovese compresa.
Pure gli attori giovani assomigliano agli originali, dalla parlata alla recitazione: compreso Riccardo Livermore, il figlio di Davide, che qui interpreta l’ambitissimo Riccardo, scapolo benestante in cerca di moglie.
Divertentissima la serva disincantata Cumba (Stefania Pepe); frivole e castamente sexy Laura Repetto (Matilde) e Isabella Loi (Carlotta); perfetti nel ruolo l’allampanato Pippo ( Pier Luigi Pasino) e Cesare (Federico Pasquali). Di un altro pianeta, come sempre, Roberto Alinghieri (Venanzio).
Il pubblico conosce tutte le battute, e applaude alle prime sillabe: da gassetta e pomello in poi. Ma la sala viene giù alla celeberrima E bravo Cesarino, venuto un poco in campagna con le braghe dell'anno passato. Alla fine viene trascinato sul palco per i ringraziamenti finali anche Davide Livermore: e non lo abbiamo mai visto così visibilmente emozionato, anche su palcoscenici più importanti.
Il Sociale di Camogli alla prima era esaurito: vista la richiesta, hanno dovuto organizzare in fretta e furia una replica straordinaria. Evidentemente il sovrintendente Giuseppe Acquaviva era molto preoccupato per questa prima produzione, anche se in collaborazione con il Teatro Nazionale di Genova e il Centro teatrale bresciano. Un'aspettativa ben strana, a dire il vero.