Tutto si può dire di Davide Livermore, tranne che sia un minimalista: e si vede anche in questa Manon Lescaut, megaproduzione targata Carlo Felice di Genova, San Carlo di Napoli, Liceu Barcelona, Palau de les Arts Valencia.
Di soldi ce ne volevano parecchi per creare una macchina scenica del genere: ma ne è valsa la pena. Questa Manon, diretta in modo superlativo dal maestro concertatore Donato Renzetti, è potente, commovente, struggente. E il pubblico genovese se ne è accorto: c’è stato un quarto d’ora di applausi.
Merito probabilmente anche della mattana di Marcelo Alvarez, tenore di fama internazionale, che ha fatto una enorme pubblicità a questa Manon. Alvarez interpreta Renato Des Grieux, il protagonista maschile. La sera della prima, subito dopo avere cantato la romanza iniziale Tra voi, belle, brune e bionde, Marcelo Alvarez ha interrotto la recita, dicendo che non poteva cantare in quelle condizioni. E se ne è andato.
A Genova una cosa del genere era successa solo una volta, nel 1983. Alvarez ce l’aveva con il fumo prodotto da una locomotiva messa in scena da Livermore: in realtà parecchi segnali nel quarto d'ora iniziale avevano fatto capire che per la sua voce non era la serata giusta.
Riccardo Massi tiene la barca a galla
Per fortuna era pronto Riccardo Massi, secondo cast. Massi è riuscito a subentrare in corsa ad Alvarez, entrando subito nel mood dell’opera. Interpretazione superba: alla fine gli applausi scroscianti sono stati tutti per lui e nessuno si ricordava più di Alvarez.
La sua mancanza di rispetto nei confronti del pubblico genovese (da sempre molto suscettibile) non è stata però per nulla archiviata: eventuali future esibizioni di Alvarez a Genova partiranno quantomeno in salita: se non era in serata per la voce, bastava chiedere la sostituzione prima di andare in scena.
Ma torniamo all’opera. Livermore la ambienta nel 1893. La scenografia, curata da Livermore e Giò Forma, è uno dei punti di forza. Scena ricca di particolari, e nessuno messo lì per caso. Una cura maniacale che si è vista nella distribuzione delle linee, degli spazi, dei colori; alla ricerca di solidità, materialità e concretezza, ma alla luce di un perenne equilibrio: i fiori in un vaso, per esempio, non erano messi alla rinfusa ma raggruppati per colore.
Livermore, qui aiutato da Alessandra Premoli, ha la capacità di calare il gigantismo sul palcoscenico senza farlo sembrare ingombrante: oltre alla locomotiva in movimento, ad un certo punto arriva anche una nave. Ma sembra una cosa naturale. I colori e le forme aiutano a raggruppare e separare i punti focali, facilitando la lettura dell’azione e dirigendo l’attenzione dove serve: vedi i movimenti dei diversi gruppi di persone, vestiti in modo omogeneo al loro interno.
I costumi di Giusi Giustino danno l’idea di essere veri vestiti, non i soliti abiti di scena posticci. Livermore e Forma scelgono di ambientare molte delle scene su due piani: un livello rialzato che circonda e abbraccia la scena centrale, con i personaggi che si spostano da un livello all’altro creando un effetto registico dinamico che tiene desta l’attenzione senza distrarre dal canto.
Livermore trasforma l'opera in un gigantesco flash-back
Non tutti hanno apprezzato e/o capito un’altra invenzione di Livermore: il prologo ambientato nel 1954 a Ellis Island, il centro di immigrazione aperto nel 1893 a new York. Abbiamo un breve e aspro dialogo in inglese tra un poliziotto e un anziano: solo dopo si capirà che l’anziano è Renato Des Grieux, ormai vecchio. Ma che è successo? Nella visione di Livermore questa Manon Lescaut è vissuta come un gigantesco flash-back da parte di Des Grieux. Nel 1954, l’anno in cui Ellis Island chiude per sempre, l’anziano Des Grieux torna nel luogo in cui ha perso l’amata Manon e cioè Ellis Island.
Si dirà che Manon non è morta ad Ellis Island ma nel deserto della Louisiana. In Louisiana però non ci sono deserti: e sembra strano che il trio Giacomo Puccini, Domenico Oliva e Luigi Illica abbia preso una cantonata del genere.
Più probabile quindi che il deserto evocato nel libretto sia piuttosto metafora di un luogo inospitale e disumanizzato, dove pietà e sentimento non hanno diritto di cittadinanza: e in questo caso Ellis Island va benissimo per morire nel deserto. L’anziano Des Grieux, quindi, torna indietro con i ricordi e rivive la sua storia con Manon: dal primo incontro durante il viaggio di lei verso il convento, al momento in cui l’amata spira tra le sue braccia.
Des Grieux anziano, interpretato dall’attore Roberto Alinghieri, è una presenza-non presenza in quasi tutte le scene: con il suo vestito bianco si staglia sugli sfondi e si distingue dagli altri. Un fantasma che si aggira attonito e dolente nei luoghi e nelle circostanze, non visto dagli altri, che vivono solo nei suoi ricordi.
Donato Renzetti, una garanzia sul podio
Non è semplice stare in scena per quasi tre ore senza dire neppure una parola: il rischio del ridicolo è dietro l’angolo. Ma Alinghieri riesce a dare vita e dignità a questo personaggio. Dal punto di vista musicale, non c’è una sbavatura.
La regina è stata ovviamente Maria Josè Siri, che ha reso secondo le aspettative nella romanza In quelle trine morbide (atto II) e in Sola, perduta, abbandonata (atto IV). Ottimo anche il basso Matteo Peirone, interprete di un Geronte che convince nella sua potente linearità.
Se i cantanti hanno dato il meglio, il merito è stato soprattutto della direzione orchestrale di Donato Renzetti, che ha saputo interpretare ed esaltare da par suo la sensualità e la drammaticità dell'opera, in tutti i punti più difficili. Il cast si è appoggiato al respiro orchestrale creato da Renzetti: presente, drammatico, appassionato quando serviva, ma mai pesante.