Prosa
MARE MATER

Mare Mater: da piccoli scugnizzi a esperti marinaretti

Giulia Civita Franceschi
Giulia Civita Franceschi

Lo spettacolo è frutto di un approfondito studio di fonti. I toni lirici, onirici, commuovono senza mai essere patetici: la paura creata da un bambino dagli occhi neri che in realtà voleva solo una carezza.

Il Mare come luogo di riparo, di crescita, di educazione, come la carezza di una madre. Mare Mater, spettacolo ideato e diretto da Fabio Cocifoglia, racconta la storia di una donna, Giulia Civita Franceschi, e di una nave, anzi di una Nave-asilo come la Caracciolo.

Racconta di come una piro-corvetta, costruita nei cantieri navali di Castellammare di Stabia, invece di essere semplicemente messa in disuso, nel 1913 venga reinterpretata come luogo per accogliere ed educare bambini e renderli provetti marinaretti. Vengono chiamati caracciolini ma prima erano ragazzi di strada, analfabeti, da sempre apostrofati come scugnizzi che, grazie al supporto della Civita, ritrovano la propria dignità e un’idea di futuro. Un progetto educativo avanzato poi bloccato in epoca fascista.

Una storia vera raccontata liricamente

In una dimensione extratemporale quasi onirica una donna, che poi si capisce essere la maestra Giulia Civita Franceschi (interpretata da una intensa Manuela Mandracchia), associa tasselli del suo pensiero. Lo spazio della memoria entra prepotentemente in scena in una dimensione dominata da personaggi-fantasmi della sua mente. I suoni, quelli di una sorta di vele che vengono issate su una nave irreale, grazie a una accurata e ingegnosa scenografia, portano con sé lo scrosciar dell'acqua. Catapultati in mare, sulla Caracciolo arrivano anche i bambini, che, veri fantasmi, entreranno più volte in questo gioco del ricordo. Giulia li accoglie, li ascolta, li incoraggia oscillando tra l'entusiasmo di un progetto educativo fatto di rispetto, di immancabili fotografie (traccia provata del loro cambiamento) e la tristezza del silenzioso vuoto presente.


Giulia Civita incontra due suoi marinaretti

Le vele-teli rendono viva la nave: i volti proiettati dei circa 700 bambini e i loro nomi prendono corpo. “A Capitana, ‘A Maestra”, come la chiamavano, amava fare foto, bloccare in uno scatto il senso della loro rivoluzione umana. Tra queste immagini irreali si materializzano due bambini ormai cresciuti. Gennaro (un elegante Luca Iervolino) ora professore di latino e greco, simbolo del riscatto, è la prova che questo metodo basato su rispetto, partecipazione alle attività della nave, aiutarsi l'un l'altro senza premi né castighi, funziona. Salvatore (un giocoso Gianpiero Schiano), un giovane che sembra smarrito e senza memoria, diventa l’espediente narrativo e anche comico per raccontare la vita familiare della nave, dove ‘si mangia addirittura tre volte al giorno’. Piano piano ricorda di essere stato il bambino-pesce che si tuffava per correre dietro a monete lanciate da sconosciuti per divertirsi alle sue spalle. Il desiderio di rivalsa diventa lirica rabbia, tassello che completa il quadro del ‘riscatto’ dei ‘figli della plebe’.

Un lavoro a più voci

Frutto di un approfondito studio di fonti, Mare Mater è già andato in scena in un allestimento site-specific al Molo San Vincenzo di Napoli nel 2016 per il Napoli Teatro Festival Italia, dove, con più interpreti in scena, ha visto come protagonista il mare vero, mentre in questa versione ha raggiunto una essenziale intensità. I toni lirici, onirici, commuovono senza mai essere patetici: la paura creata da un bambino dagli occhi neri che in realtà voleva solo una carezza, è la base di un percorso che, come sottolinea la Civita-Mandracchia, rilancia su un futuro possibile in cui ‘basta un po’ di cuore in più.

Visto il 16-01-2019
al Vascello di Roma (RM)