Lirica
MARIA DE RUDENZ

Una Maria de Rudenz da matti

Una Maria de Rudenz da matti

Sono pochi i registi che possono permettersi di non autocitarsi: occorrono idee, intelligenza e bagaglio tecnico. E' il caso di Francesco Bellotto che per il "Bergamo Musica Festival", del quale è pure Direttore Artistico, ha firmato l'allestimento di Maria de Rudenz di Gaetano Donizetti. Il titolo era una chicca: mai più rappresentato dal 1974 a Londra (in forma di concerto) e dal 1981 a Venezia, ha costituito un debutto assoluto per la Città di Bergamo. Un'edizione resa ulteriormente interessante in quanto attinta alla partitura autografa, ritenuta perduta e recentemente riscoperta, che ha permesso l'esecuzione di pagine finora ignote. L'opera era quindi priva di una iconografia registica che potesse costituire punto di riferimento per il pubblico. Una sfida estremamente stimolante per Bellotto, il quale non ha sottaciuto gli amati spunti cinematografici ma li ha stilisticamente diversamente declinati rispetto ai lavori passati. Una concezione decisa quanto drammaturgicamente mai invasiva, di attenta coerenza musicale, alla quale ha lavorato per sottrazione, asciugando gli spunti fino a far venire alla luce la focalità di una vicenda che di fatto riveste un ruolo nella nascita del genere horror, in questo caso di stampo tragico, interiorizzato: la musica, splendida, indulge ai monologhi, ai primi piani solistici, a scandagliare sottilmente l'animo umano. Le azioni dei soggetti sono dettate da ossessioni più che malvagie, animalesche nella loro impulsiva irrazionalità. L'assurdità delle situazioni narrate da Salvadore Cammarano (ispiratosi a La nonne sanglante di Bourgeois e de Maillan) conduce ad un mondo onirico generato dal Big Bang di patologie schizofreniche. Una Maria "da matti", come il regista ha spiritosamente descritto la sua ambientazione, disgiunta dallo spazio fisico, collocata all'interno di una devianza psichiatrica e precisamente nella forma mentis di Corrado. Grazie all'ausilio dello scenografo Angelo Sala (pure ideatore dei costumi), Bellotto ha tangibilmente raffigurato il su e giù emozionale del personaggio: scheletri metallici a gradini che, attraverso percorsi ad angolo, mai rettilinei, sono sfociati in pertugi bui, in cieche voragini interiori; illusorie vie d'uscita dal carcere rappresentato dalla follia. Sulle bianche pareti di contenzione si sono alternate proiezioni, ad uso dei vetrini del "fantascopio" di Robertson (precursore settecentesco del cinematografo) proposte in inquietanti sequenze, maniacalmente ripetitive come le fissazioni dell'intelletto. Un incruento sezionamento anatomo-patologico della materia grigia di Corrado il quale, da un letto del manicomio di Mombello ha visto, dinanzi ai propri occhi allucinati, i fantasmi della mente relazionarsi con l'astrazione di sé stesso; figure spettrali dai volti esangui e dagli occhi cerchiati di nero; zombie sorti dall'inconscio più che dalle catacombe che nell'antefatto hanno inghiottito Maria. Un percorso in cui concretezze e Fate Morgana si sono sovrapposti e confusi, con chiarezza; in cui le allucinazioni sono state descritte, con grazia, senza indicarne cause né ragioni, senza volerne trarre una morale né un insegnamento, senza esprimere giudizi. I personaggi di Bellotto non hanno chiesto perdono né si sono arrabattati in cerca di redenzione; "semplicemente" si sono mossi in bilico tra la verità e la proiezione di una psiche malata. Follia intesa come normale anormalità. Alla fine anche gli incubi gli hanno girato le spalle e Corrado si è ritrovato veramente solo, tra le pareti/prigione sollevate per metà a squarciare il delirio con uno sprazzo di lucidità. Mediante lo straziante abbraccio mortale tra gli odiatisi/amatisi Corrado ed Enrico, Bellotto con un coup de théatre conclusivo ha voluto far deflagrare anche il proprio sogno registico e, dopo aver disumanizzato il suo protagonista, lo ha restituito alla realtà, tramite quella materialità che solo l'immaterialità dei sentimenti possiede.
Maria Billeri ha trovato il suo punto di forza nel temperamento drammatico; straordinaria interprete degli sbalzi umorali che contraddistinguono la personalità bipolare di Maria de Rudenz, la terrificante monaca tre volte morta e due volte risorta. Dimestichezza nell'intera gamma, sicuri gli acuti che si sono movimentati di un caratteristico vibrato; la grande tecnica le ha permesso di accostarsi agevolmente a graffianti veemenze e soavi smorzature, ad incipit furiosi e delicate messe in voce. Dario Solari dal canto naturalmente elegante, ha supportato gli squilli senza eccessi nelle "spinte", grazie all'attenzione profusa nel dosaggio dei volumi; Corrado Waldorf convincentemente avulso dalla realtà. Un incidente occorso durante la prova generale ha costretto Ivan Magrì su una sedia a rotelle. Vincendo il dolore fisico apparso ad un tratto tangibile, ha portato a termine una prova consistente, abbandonandosi alla commozione durante gli applausi scrosciati al termine della romanza di Enrico. Pur con qualche asciuttezza, immaginiamo dovuta alla forzata postura, gli acuti sono usciti limpidi e saldi; assai gradevole la timbrica a coronare il notevole bagaglio vocale. Gilda Fiume, con padronanza dei propri mezzi, è stata Matilde di Wolf perfetto contraltare di Maria, dolce e appassionata, votata con remissività al proprio destino di vittima designata. Rambaldo era Gabriele Sagona, dal timbro tondo, pulito, brunito il giusto, morbido nell'emissione. Completava il cast con puntualità Francesco Cortinovis, Cancelliere. Perfettamente coeso a capace di suggestivi chiaroscuri il Coro diretto da Fabio Tartari. Anche Sebastiano Rolli, dal podio, si è trovato senza una letteratura di riferimento e ... l'ha creata! Il suo stile fresco è emerso intonso: concertazione raffinata; bilanciamenti tra le sezioni strumentali volti alla limpidezza del suono, al risalto dell'intera tavolozza coloristica, alla cantabilità, alla sensibile interpretazione della drammaturgia e delle passionalità sempre focose sia negli impeti tragici che nelle sfumature liriche. Una direzione attenta alle emozioni senza prescindere dalla preparazione, accurata al punto d'aver come sempre diretto senza spartito.
Pubblico internazionale, accorso per la rarità dell'evento, caloroso nelle esternazioni di consenso.

Visto il 22-09-2013
al Donizetti di Bergamo (BG)