Lirica
MARIA STUARDA

Maria Stuarda: brilla lo scettro di Mariella Devia

Maria Stuarda: brilla lo scettro di Mariella Devia

Ricreare una claustrofobica prigione mentale è intuizione ricorrente in un gran numero di regie. In questo caso la scelta è parsa obbligata, pertanto giustificata. Nell'opera che trae origine dalla tragedia di Friedrich Schiller Maria Stuarda - vista al Teatro Donizetti di Bergamo nella nuova produzione e nuovo allestimento del Bergamo musica Festival "Gaetano Donizetti" e Teatro Sociale di Rovigo - tutto, luogo o sentimento che sia, è una prigione. Lo è l'amore di Roberto Conte di Leicester verso Maria, lo è l'indomito orgoglio di quest'ultima, lo è il Castello di Fotheringhay dove è essa è confinata e che rappresenta al contempo l'ergastolo intellettivo che si trova a scontare la Regina Elisabetta, combattuta tra gli obblighi derivanti dalla posizione di potere, le emozioni personali e le pulsioni di donna. Una condanna a vita, che solo la messa a morte della rivale è in grado di amnistiare. Il regista Federico Bertolani ha utilizzato una struttura cubica scomponibile (scenografie di Giulio Magnetto) chiusa da una scura lastra riflettente nella quale nel primo quadro Elisabetta si è specchiata. L'immagine ha assunto il significato di estrapolazione dell'io recondito, figurazione delle paure, messa in luce di chimere quali libertà, freschezza, beltà, amore, impossibili per la regnante e invece incarnate da Maria; al primo incontro la Regina d'Inghilterra esclama: "E' sempre la stessa: superba, orgogliosa, con l'alma fastosa m'ispira furor". La medesima costruzione-carcere era al centro della tenuta immersa tra gli alberi ed affacciata sul mare di Fotheringhay. Quando alla fida Anna che le chiede di allentare il passo, la Stuarda risponde: "il cielo è aperto, io vagheggio la voluttà che mi circonda", il regista ci ha indicato essere il vagheggiamento illusorio. Sulla sommità del cubo-prigione infatti era collocato il trono di Elisabetta la quale dall'alto ha sovrastato, dominato, schiacciato ogni scenario politico ed umano. Salvo poi essere stata a propria volta soverchiata dal suddetto rimando speculare. Una incessante lotta tra l'una e l'altra, tra il bianco e il nero (costumi di Manuel Pedretti), tra chiarore e tenebre (disegno luci Claudio Schmid). Bertolani prima ancora che due regine ha contrapposto due donne, ciascuna con il proprio bagaglio esistenziale destinato a trovare punti di conflittuale sovrapposizione, seguendo il rimpallo musicale  e scenico. Alcuni gradini sono serviti a invertire ad hoc il gioco delle predominanze, in una tensione di forze contrapposte destinata ad allargare vieppiù l'angolo di oscillazione degli instabili equilibri fino allo sbilanciamento conclusivo, quando lo specchio divenuto corvino ha simboleggiato la scure della decapitazione. Tutto esplicitamente espresso nel disegno registico di Bertolani, fatto che esso solo è motivo di plauso, ma in termini che hanno recato seco una certa asetticità nel trasmettere le emozioni così ben suggerite.
Mariella Devia è un'autentica interprete. L'attenzione ad ogni sfumatura della tessitura unita alla perfetta conoscenza della tecnica vocale utilizzata con sagacia, ha prodotto stupendi accenti ed eteree mezze voci nulla meno che incantevoli, che il pubblico ha ascoltato trattenendo il respiro, in un silenzio irreale. Una linea di canto tornita ed elegante, dal suono ricco e pieno, flessibile, di vasta gamma. Padrona del ruolo di Maria Stuarda sostenuto con personalità carismatica ha soppesato sapientemente i dolcissimi abbandoni come gli irosi impeti: regina di Scozia come regina sulla scena. Per lei, teatro in visibilio e manifestazioni di consenso a scena aperta. Il mezzo-soprano Josè Maria Lo Monaco possiede un intenso vibrato naturale, caratteristica che confessiamo non rientrare tra le nostre personali preferenze ma ben assoggettata a conferire temperamento e tensione, lodevolmente sempre a fior di pelle, ad Elisabetta, determinata nella capacità decisionale esercitata nel mandare a morte la cugina senza troppi rimorsi. Molto bello il colore scuro che si fa brunito nei registri bassi, grande la potenza, corposa l'estensione, fraseggio incisivo. Il tenore Dario Schmunck dagli acuti squillanti (anche troppo), asciutti; la sua timbrica acquisisce maggior colore nei registri intermedi. Intonazione talvolta calante ha superato di misura una prova assai impervia. Dal punto di vista strettamente attoriale ha tratteggiato con fedeltà al libretto di Bardari un Roberto Conte di Leicester remissivo, dai sentimenti tenuti mollemente in sordina causa l'incapacità di comprendere il conflitto tra le regine. Bene i due consiglieri: il pacato, signorile Giorgio Talbot di Mirco Palazzi, sensibile alle umane debolezze, e lo spietato subdolo Lord Guglielmo Cecil di Marzio Giossi, asservito alla più cieca ragion di stato. Infine la premurosa Anna Kennedy, Diana Mian vocalmente corretta e scenicamente presente. Una nota di merito al Coro diretto da Fabio Tartari, nutrito nel numero di elementi, ottimamente coeso e attento alle raffinatezze della partitura; capace di tenere una lunghissima "corona" ("ma d'una regina la barbara morte all'Anglia fia sempre d'infamia e rossor") premiata da scroscianti applausi. In buca e alla concertazione Sebastiano Rolli, che ha adottato il duetto tra Leicester e Maria aggiunto da Donizetti per il debutto milanese ma non la sinfonia, ed ha eseguito il più snello preludio scritto per l'edizione napoletana, che gli ha dato modo di indulgere ala vena romantica per poi abbandonarsi a impeti drammatici. Una lettura scorrevole dagli apprezzabili chiaroscuri. Attento alle esigenze del belcanto si è prodigato, con esiti soddisfacenti, per dare bilanciamento ai volumi tra golfo mistico e palcoscenico.
Teatro esaurito in ogni ordine e clima di generale compiacimento

Visto il 12-10-2012
al Donizetti di Bergamo (BG)