Le serve (coro) con i loro stracci ‘sporcano’ di rosso – sangue lo spazio bianco e inclinato della scena. Il futuro si disfà nel dolore inevitabile, necessario ed eterno. Con questa immagine sospesa nel tempo si chiude lo spettacolo Medea interpretato da Laura Marinoni e diretto da Federico Tiezzi.
GLI SPETTACOLI
IN SCENA IN ITALIA
Il corpo dell’antica tragedia di Euripide viene riproposto nel suo valore ancestrale, oltre la variabile del tempo, ma attualizzato nel linguaggio (traduzione del testo è di Massimo Fusillo) e nel simbolismo di cui è densa la scena. Medea sembra raccontare storie di oggi, in un contesto borghese.
La storia di un’amante abbandonata, tradita in cui il desiderio di vendetta diventa forte quanto l’amore provato. Storia di una straniera mai accettata ed accolta, ma ancora e sempre cacciata. La storia di due mondi diversi che, se pur inseguendosi, sembrano non incontrarsi mai, come accade tra quello maschile e femminile o tra forze dettate da istinto o da ragione.
La passione e l’interesse
Fin dall’inizio si capisce che i mondi di Medea e di Giasone sono inconciliabili. Medea vive di passione, istinto: è maga, alchimista, ‘barbara’, ha dedicato la sua vita a realizzare gli obiettivi di Giasone per amore. Giasone è greco, razionale, mosso dalla geometria del pensiero interessato, economico, si potrebbe dire ‘neocapitalista’ che lo porta politicamente a sposare la figlia di Creonte come fosse un vero affare.
Una contrapposizione-contrasto su cui si basa la chiave di lettura di Tiezzi, come si evidenzia in ogni dettaglio anche simbolico dello spettacolo. Si vede nelle tipologie di colori dei vestiti (il blu dello splendido vestito di Medea –uccello e delle sue serve si contrappone al nero dei vestiti in classico stile borghese di Giasone, o di Creonte, e al bianco di quelli di Egeo), come nelle musiche, che passano da ritmi dal sapore tribale a note più sentite e tragiche (ad esempio la lacrimosa di Preisner), o nelle sfumature ben caratterizzate delle interpretazioni.
L’empatia con Medea
La contrapposizione, di scena in scena, costruisce un’empatia verso Medea tanto profonda da potersi quasi toccare con mano quando dal pubblico arriva un sentito respiro e sussulto di consenso alla parola “Bastardo” con cui Medea apostrofa Giasone dopo il suo racconto calcolatore (ben interpretato dalla voce impostata da ‘politico’ di Alessandro Averone). Giasone è un personaggio fastidioso, che non genera compassione neanche quando ha perso tutto.
Medea, l’elegante Laura Marinoni, istintiva ma lucida, capace di convincenti finzioni tanto da indurre Creonte (Roberto Latini dalla voce grossa e graffiante) a darle quel fatidico giorno in più di permanenza, manifesta una sofferenza profonda tanto quanto controllata, ma comprensibile. La calcolata vendetta è l’apoteosi del dolore che cancella ogni possibile futuro, almeno per i figli.
Il racconto, le parole e gli oggetti
La tragedia vive nelle parole di una storia narrata da vari punti di vista, in quelle della nutrice, un’intensa Deborha Zuin o del pedagogo dei figli di Medea, il pacato Riccardo Livermore. Vive nei dialoghi essenziali tra Medea e Creonte (l’espediente), Medea e Giasone (il desiderio di vendetta) o Egeo (il futuro di Medea, interpretato da Luigi Tabita).
Il sacrificio dei bambini sull’altare dell’amore tradito viene raccontato dalle parole intense del nunzio, Sandra Toffolatti, a cui si aggiungono, strazianti, le sole urla lontane e gli interrogativi dei bambini. Contributo essenziale all’andamento racconto è dato anche dalla scenografia e dagli oggetti: i riferimenti alla realtà e al suo doppio, attraverso il pavimento con specchi, l’utilizzo di maschere di animali che identificano i personaggi che vivono di istinto, di passione.
Al bellissimo uccello-Medea (la costumista è Giovanna Buzzi), con tutta la sua regale forza e totemica, fanno da contraltare il coccodrillo-Creonte, con i suoi compagni, simbolo di potere, e la tenerezza dei bambini-conigli, pronti al sacrificio.
Lo spazio scenico
Ma quello che non si può dimenticare della versione di Medea è l’uso dello spazio scenico del teatro antico: la distanza tra un Giasone, che sottolinea come una greca mai avrebbe agito come lei, e una Medea, questa volta vestita di giallo-sole, carica della fredda consapevolezza del dolore, viene ben rappresentata dall’ultimo dialogo in cui lui parla dalla scena e lei si trova in alto, nella summa cavea del teatro Grande.
Immerso nella tragedia il pubblico porta a casa l’eterno grande interrogativo su quale delle due parte sia nel ‘giusto’ o nel ‘lecito’.