Una macchina da guerra davvero gioiosa, che continua a funzionare spinta da meccanismi ben oliati ma, soprattutto, da un’idea: il teatro, per comunicare verità e far riflettere, prima di tutto deve avvincere e divertire. La sostanza di Non ti pago, gioiello di casa De Filippo, ultima regia di Luca, con Gianfelice Imparato nella parte che è stata prima di Eduardo e poi del figlio morto due anni fa, è tutta in questa semplice lezione teatrale, e se vogliamo anche in questo principio fondante della satira di Orazio.
Molti autori e registi contemporanei a volte lo dimenticano. L’avevano invece ben presente gli autori del primo Novecento che devono la loro immortalità, comica e non solo, dal sapore della linfa regionale. Se vengono riportate in scena con professionalità e sapienza, come fa questa compagnia, e come sta facendo Jurij Ferrini con I manezzi di Govi, queste commedie hanno ancora molto da insegnare sulla vitalità del teatro. E possono conciliare felicemente cultura “alta” e popolare. Rispettarne lo spirito originale e le atmosfere non significa, fotocopiare una certa estetica teatrale in tutto e per tutto. Un esempio di intervento ben calibrato sulla tradizione, qui come nei Manezzi, è la scenografia, prosciugata e, non sembri una contraddizione dirlo, pensata con concretezza simbolica. Gianrico Fercioni colloca le gioie, i dolori e le manie e che si spigionano da un banco del lotto sullo sfondo dove il muro di casa è una sorta di paravento.
Tra porte e finestre campeggia il ritratto del “buonanima” che appare in sogno facendo deflagrare rivendicazioni , intrighi, maledizione. Da lui il protagonista Ferdinando ha ereditato l’attività legata dalla Smorfia e dai capricci della sorte. Giocatore appassionato e sfortunato, invidia l’impiegato Mario che, come vogliono i canoni della commedia classica e della farsa, spera di diventare suo genero . Massimo De Matteo dà vita a questo personaggio, che agli esordi della rappresentazione e nella sua versione cinematografica era interpretato da Peppino, duellando in bravura con Imparato. I due non sbagliano una nota e non perdono un colpo: dalla beffa suprema del destino, i quattro milioni vinti da Mario grazie a un suggerimento dato in sogno dal padre di Ferdinando, al coinvolgimento dell’avvocato e del parroco, ai colpi di pistola , alle maledizioni, fino allo scioglimento finale, lieto come si conviene. Affiatati e ben orchestrati anche tutti gli altri.
In queste commedie i personaggi femminili, le mogli in particolare, riflettono con maliziosa ironia un gioco delle parti imposto dal costume.
La donna è “spalla” del capofamiglia ma non passiva come sembrerebbe, in realtà porta a compimento le strategie familiari che le stanno a cuore nonostante la sua opposizione. Per caratteri di questo tipo ci vogliono attrici di spessore: come Carolina Rosi che anche il pubblico genovese ha apprezzato, come la piacevolezza dello spettacolo nel suo insieme.