Prosa
PAZZA D'AMORE

Ma la prostituzione è cosa seria.

Ma la prostituzione è cosa seria.

Pazza d'amore è un atto unico scritto da Dacia Maraini nel 1984, nel quale una prostituta si confessa in una lunga intervista televisiva, concessa a una tv privata, mentre il regista che la raccoglie sembra più interessato a fare audience che ad ascoltare davvero il racconto della ragazza.

Maraini vi mette insieme due temi: uno è la comunicazione, la televisione, come usi le persone. Dimostro come utilizzi le persone. In questo caso una prostituta. L’altro tema è la prostituzione. E anche la violenza contro le donne. Cerco di mettere insieme le due cose. E ci sono dei momenti comici. È molto simpatica, questa giovane donna1.

A rileggerla oggi la pièce sorprende per la vetustà dell'impianto sociologico con cui vi si parla di prostituzione, per la semplificazione psicologica della protagonista Vincenzina Pala e per il tipo di televisione, ormai superato, che viene rappresentata in scena.

Lo stesso anno in cui Maraini scrive Pazza d'amore in Italia faceva scalpore il processo penale per le autrici di una inchiesta tv sulla prostituzione, prodotta nel 1981 e mai andata in onda, dal titolo A.A.A. Offresi, nella quale, con la tecnica della candid camera, erano stati filmati alcuni dei clienti della prostituta Vèronique Lacroix.
In particolare erano  stati ripresi i comportamenti di un pensionato che non voleva  anticipare il pagamento, di un poliziotto che tentò di non pagare le prestazioni di Veronique e di un masochista2.

La tv dei primi anni '80 già non usa più l'intervista (strumento della tv anni settanta) come avviene nella pièce, quanto piuttosto la ripresa dal vero o la ricostruzione romanzata.

L'intervento in studio del sociologo o del prete (come il regista spiega a Vincenzina) sono superati e sostituiti da una tv che non si presenta più come finestra sul mondo, ma direttamente essa stessa come realtà.

Anche la realtà sociologica nella quale Maraini inquadra Vincenzina (il padre cui fa da badante sino alla morte, le amiche prostitute una delle quali politicizzata e saccente,  il legame d'amore con il
proprio uomo
- cioè lo sfruttatore -) appare un cliché della prostituta  così ovvio da comparire nei film della commedia all'italiana già di 10 anni prima - si pensi a film come Bello, onesto, emigrato Australia sposerebbe compaesana illibata (Italia, 1971) di Luigi Zampa - mentre nel 1984 molti studi sulla prostituzione, di area femminista e non solo, avevano inquadrato il fenomeno come esempio di sfruttamento femminile del patriarcato, che Kate Millet, già nel 1971, definiva il centro stesso della condizione sociale femminile3

Insomma, nonostante il registro squisitamente naturalistico della pièce, Dacia Maraini sembra poco interessata a fare di Pazza d'amore un documento di denuncia della prostituzione o di registrare quei cambiamenti antropologici promossi dalla televisione in direzione eversiva e pidduista e sembra più interessata a costruire un personaggio che si impone per la sua statura letteraria e non per la
realtà sociale, politica, culturale e antropologica cui Vincenzina potrebbe (dovrebbe?)  rimandare. 

Maraini fa di questa prostituta un monumento alla naivetè, vittima delle proprie ingenuità e della propria ignoranza prima ancora che del doppio sfruttamento del maschio (quello che la paga e quello che la protegge) alla quale oppone due altre prostitute, tutt'altro che sprovvedute,  amiche e colleghe di Vincenzina, alle quali la prostituta è legata da un vincolo ambivalente di odio e amore (platonico), di invidia e di desiderio.

Invidiosa e bugiarda, ipocrita e incapace di auto affermarsi, Vincenzina  è una donna sprovveduta in tutto, tanto da non riuscire nemmeno  a farsi pagare da tutti i clienti, più per una sua incapacità a gestire le cose che per una prepotenza maschile.

Mettendo il pubblico in condizione di vedere bene quello che a Vincenzina non  è chiaro, il testo contribuisce al pubblico ludibrio non già della prostituzione ma delle prostitute mentre il maschilismo
dell'uomo emerge al di là del fatto che gli uomini pagano per fare sesso con lei.

La negatività dei clienti di Vincenzina  non sta nel rapporto mercenario (e dunque da sfruttatori) ma in alcuni loro comportamenti che esulano il fatto che paghino una donna per delle prestazioni sessuali, fatto che non vien mai messo davvero in discussione ma viene e tranquillamente annoverato nella rosa delle opzioni possibili nei rapporti tra uomo e donna.

La pièce riesce a descrivere con icasticità il maschilismo patriarcale, volgare, fascista e piccolo borghese del maschio, concentrandosi però più sulla figura del regista della tv privata (o
come si diceva all'epoca della tv libera) fedifrago, puttaniere e superstizioso al punto da credere alle sedute spiritiche, che sui clienti di Vincenzina alcuni dei quali vengono descritti con umanità. 

Gli uomini della pièce, tanto i clienti di Vincenzina quanto il regista, sono sì gretti e ignoranti, ma anche fragili, indifesi, mai davvero violenti, mai capaci di uccidere una donna o di picchiarla o di stuprarla come invece purtroppo accadeva allora e accade ancora oggi.

L'accenno a una prostituta uccisa (un'altra amica di Vincenzina, presa a coltellate) sembra più un inconveniente del mestiere che la denuncia di un odio maschile per le donne che vede nella prostituzione una delle sue tante manifestazioni possibili.

Non a caso il maschio che la pièce addita come uomo che usa il proprio potere per ottenere dei vantaggi dalla prostituta non è un cliente di Vincenzina bensì il regista il quale, in cambio di una prestazione sessuale gratuita, è disposto a cancellare i nastri dell'intervista quando Vincenzina  ha un tardivo ripensamento sull'opportunità di mandarla in onda.

Un ripensamento che conferma la sua naivetè: nell'intervista si dà con troppa sincerità e rischia di
tradirsi  con la sua amica Mara alla quale non ha mai detto francamente quel che pensa di lei.

L'umanità di Vincenzina non emerge insomma dalla sua condizione di sfruttamento ma dalla sua inconsapevolezza ad essere sfruttata, attestando così, nell'innocenza di stampo cattolico,
la forza della sua statura morale.

Vincenzina rimane un personaggio ambiguo tutto dentro lo stesso orizzonte patriarcale e maschilista che la opprime (il fallocentrismo che non le permette nemmeno di sperimentare il sesso lesbisco che rimane platonico perchè per scopare c'è bisogno del membro maschile - una aggiunta del regista che nel testo non siamo riusciti  a trovare -; il pregiudizio del sesso anale, subito collegato all'omosessualità, quando un suo cliente le confessa che, mentre faceva sesso con lei, pensava di metterlo dietro all'amante della moglie che però sembrano pi pretesti per criticare il maschio (dandogli del frocio...) che metterne in discussione certi assunti del patriarcato.

Un personaggio irrisolto dunque, crocevia di istanze contraddittorie, figlia di uno sguardo borghese da socialismo utopico ottocentesco, che prima ne fa una emarginata, e poi pretende di comprenderla, non perchè vittima, ma perchè, nonostante tutto, umana. 

Emanuele Vezzoli, che riprende la piéce per un nuovo allestimento, si attesta su questa visione di prostituta umana intervenendo sul testo  con dei tagli pensati per svecchiarlo. Purtroppo nessun taglio può dare a Pazza d'amore quello che la piéce non ha, per cui la prostituzione ancora oggi nel 2013,  viene presentata come fatto privato, come scelta di una donna e mai come costrizione, culturale, sociale, fatta da tutti i maschi.

Il pubblico lascia la sala sentendosi commosso per avere visto l'umanità anche in una prostituta senza che questo racconto metta in discussione i rapporti tra i sessi o quelli politici tra classi sociali.

L'interesse per questo allestimento e per il testo stanno evidentemente altrove.

Per l'allestimento sta nella grande prova di attrice di Sara Pallini che sa destreggiarsi con un testo
difficile, che è quasi un monologo dati i pochi scambi dialogici  tra la prostituta e il regista.

Un monologo costituito da un continuo oscillare tra discorsi propri e altrui (delle amiche e colleghe e dei clienti) detti e riferiti  del quale Pallini riesce ad avere ragione  con una intelligenza attoriale non indifferente.

Meno bene per Matteo Castellino che finisce per pagare un errore di casting essendo anagraficamente troppo giovane per il ruolo di un uomo sposato e con una figlia com'è pensato nel testo originale.

La bellezza del testo sta invece tutta nella sua poesia, nella capacità che Maraini ha di infondere nelle parole di Vincenzina il candore e la sincerità disarmante ,dei lacerti di vita che la donna va
raccontando.

Un interesse letterario più consono alla lettura che alla scena, in una drammaturgia che sarebbe tutta da reinventare, avendone tempo e modo.

Invece di accentuare questa letterarietà del testo, facendone emergere i pregi tramite una messinscena astratta e controllata, Vezzoli indulge nel registro realistico, calcando la mano sul lato comico col rischio di farlo diventare grottesco, contribuendo a un giudizio morale classista sulla
sprovvedutezza di Vincenzina che si lascia facilmente abbindolare (poverina) senza minimamente mettere in discussione lo status quo dello sfruttamento delle donne da parte del maschio che, apparentemente, tanto per Maraini quanto per Vezzoli, si sa, è puttaniere e tanto deve bastare al pubblico.



1) Dacia Maraini in La tv si prende il teatro in difesa delle donne Il tempo.it 16 aprile 2013

2) La Repubblica Per il caso veronique rinviati giudizio anche i dirigenti Rai  19 dicembre 1984

3) Kate Millet, Prostituzione Einaudi, Torino 1971 dalla quarta di copertina.


 

Visto il 24-07-2013
al Dei Conciatori di Roma (RM)