McGregor Wayne è il nome di un sensazionale creatore di danza del ventunesimo secolo, un uomo che sa conciliare contesti radicalmente diversi, che crea coreografie per musical, opere e cinema e che è anche coreografo residente del Royal Ballet di Londra. È uno dei coreografi la cui arte di unire corpi in movimento e immagini digitali è tra la più accreditata. Ma per Entity spinge oltre la sua esplorazione: la pièce è il risultato di un lavoro di ricerca ambizioso, che ha unito danzatori e ricercatori in scienze cognitive (psicologia, neuroscienze, linguistica, robotica). Esplorando le connessioni del cervello con la danza, i ballerini hanno messo in scena un sistema per trovare nuove soluzioni coreografiche. Portata insolita, complessità tecnica, coordinazione inedita: la danza che ne deriva mette in discussione le abitudini degli spettatori.
Entity è chiaramente una tappa per il coreografo inglese: compendio della sua ricerca sul movimento, ma anche un modo per evidenziare i limiti di una connessione scientifica che vorrebbe superare.
Entity combina elementi già ben radicati nel lavoro di Wayne McGregor: costumi minimali, scene austere dal design pulito e video, qui su tre schermi di forma allungata, che delimitano lo spazio scenico. Il coreografo stesso parla di un lavoro saldamente radicato al presente, un presente che lo vede affascinato dalla tecnologia e da un interesse per la scienza quasi morboso, come indicano tutte le proiezioni, ora parate di numeri, ora di colonie di batteri. Lo spettacolo si apre e si conclude sullo sfondo della stessa immagine: la corsa di un levriero, infinitamente ripetitiva.
Entity è un dittico, la prima parte del quale si serve di una inconsueta fluidità concentrata sui ballerini al servizio di una disarticolazione costante, metodica, proiettata ad angoli insoliti, a tratti convulsa dove i corpi sono legati gli uni agli altri. Questa coreografia non è musicale, non segue la partizione musicale di Joby Talbot, che, al contrario, diventa nella prima metà dello spettacolo un rumore di sottofondo costante, ostinato e ossessivo, contro il quale i danzatori creano il proprio ritmo con una sorta di neutralità. Si può avere l’impressione di assistere ad una performance di corpi chiusi al mondo, che cercano di ideare i propri mezzi di comunicazione attraverso questa danza.
L’effetto è particolarmente interessante nei momenti di duo o trio, in cui i ballerini sembrano trovare un modo per incontrarsi, per proiettarsi fuori da se stessi attraverso il solo movimento, come a cercare l’uscita da una prigione mentale. La coreografia non gioca sulla velocità, ma è ugualmente eccessivamente convulsa. Si potrebbe biasimare il coreografo di aver creato uno spettacolo per se stesso, di portare alcuni interpreti della sua compagnia al limite fisico. Entity è a tratti ripetitivo: il movimento nasce, ma Wayne McGregor lo tesse senza struttura. La pièce ritorna sui suoi passi, e l’emozione generata dai danzatori viene diluita in pura prestazione fisica. L’obiettivo centrale di ode alla tecnologia finisce per sopravanzare la coreografia stessa.
Danza
RANDOM DANCE
La danza come ode alla tecnologia
Visto il
11-06-2011
al
Palazzo Mauro De André
di Ravenna
(RA)