Prosa
RE CHICCHINELLA

Re Chicchinella: la precisione della regia di Emma Dante

Re Chicchinella
Re Chicchinella © Masiar Pasquali

Al centro della scena, sempre, per tutta l’ora dello spettacolo c’è lui: il Re Chicchinella. Un sovrano che, sebbene apostrofato ironicamente come Re Carlo III d’Angiò, Re di Sicilia e di Napoli, Principe di Giugliano (il paese natale di Basile, da cui è presa la storia..), Conte d’Orleans, Visconte d’Avignon e di Forcalquier, Principe di Portici Bellavista, Re d’Albania, principe di Valenzia e Re titolare di Costantinopoli è un uomo che vive in simbiosi con una gallina. 

A causa di una leggerezza: per pulirsi dopo ‘l’atto grande’ utilizza le penne di una gallina che solo dopo scopre essere viva. Così la pennuta si infila, si attanaglia, nasconde, rigenera dentro le sue viscere. Una gallina magica che produce uova d’oro.

L’assurdo sfiora il faceto

Il corpo del Re (uno splendido e plasmabile Carmine Maringola) viene forgiato, comandato, gonfiato, mosso da questo essere che si è impadronito di lui. I movimenti in scena, la centralità del corpo diventano ridicoli, comici. Di quella comicità infantile che coinvolge tutti quando si parla delle funzioni corporee essenziali. 

L’unica soluzione? Non mangiare perché la sofferenza più grande avviene dopo il pasto con l‘esplusione’ di un uovo d’oro. Dolore e sofferenza per il Re, sacrificio fisico ma anche mortificazione morale: nessuno lo ama, se non per questa sua potenzialità di ricchezza. Non la figlia, non la moglie con cui la tensione sale. Non mangia fino al regale pasto di una sola oliva e una fetta biscottata, ultima gioia prima della fine.

IL corpo comico

La poesia del corpo, la tensione dei corpi, creano il senso, la comicità, la risata fin dalla prima scena. Il corpo del Re fuoriesce da sotto una sottoveste-gonna che poi all’occorrenza si trasforma in bara. Il corpo del Re, nudo sotto la gonna,  riesce a esprimere anche la presenza del suo doppio, dentro.

Il corpo del coro di cortigiane (donne o uomini vestiti o forse svestiti da donne), il corpo della Regina e della principessa  che nell’insieme si muove, rimanda, corre, danza. Persino il cantare lirico di uno di loro diventa smorfia, segno fisico. La comicità è dentro questo approccio.

Il linguaggio fisico

Sottoposto al sottile rumore della prosa, della poesia paventata il linguaggio diventa grasso senso o fine metafora acquisendo un sapore ironico. Come quando per rispondere alla domanda su che ore sono è necessaria, per evitare la punzione del Re, una perifrasi poetica in napoletano. O come quando il francese fa da contrappunto elegante e colto al napoletano del Re, come l’eleganza all’essere popolano. 

Ma nella ripetitività compiacente del coro di cortigiane, anche il francese diventa lingua di carne: nel bere thè e mangiare biscotti viene sputacchiato insieme a residui di cibo e di liquido. Espressione fisica di una maniera di leggere la lingua francese che non può che creare una risata grassa.  

Quadri tra luci ed ombre

La precisione dei gesti corrisponde alla precisione delle immagini create con la luce, di cui forse il culmine si ha nello svelamento finale. Il muoversi sulla scena degli oggetti, a creare scenografie di volta in volte diverse, regalano seicenteschi giochi di luci ed ombre. Come nel momento della morte del Re, corpo nudo quanto lucido, profondo quanto sospeso. 

Immagine solenne, quasi caravaggesca per la sua fisicità luminosa che non raggiunge mai la tristezza perché si sa che qualcosa si nasconde dietro la tragedia. Anche la morte cade nello sgambetto dell’ironia: la morte del Re è la vita del Re, nella sua forma più estrema e forse più gradita a tutti di gallina.

La regia di Emma Dante, un orologio di precisione

Splendidi tutti gli attori, organismi di un meccanismo oleato. Ma se al centro va riconosciuta la poliedrica maestria del Re (un poliespressivo Carmine Maringola), va sottolineata anche l’abilità di creare un contrappunto significativo della Regina (la moglie-matrigna Annamaria Palomba), tutt’altro che plastica, tutt’altro che femminile e formosa ma non per questo meno intensa o meno fisica. 

Capace di reggere testa, capace di infingimenti e di sincerità, di desiderio di riscatto e di finzione del potere. Un gioco di contrasto indovinato, dove alla precisione del gesto corrisponde una credibilità del contenuto. Dissacrante sempre. Come quando l’ultimo personaggio ad entrare in scena, trasforma il palcoscenico in una grande aia in cui finalmente poter razzolare tranquilli.

 

Visto il 07-11-2024
al San Ferdinando di Napoli (NA)