Danza
ROBINSON

L'impeccabile eleganza di MK

L'impeccabile eleganza di MK

Si tratta solo di una coincidenza se uno spettacolo di danza contemporanea viene ospitato nel teatro più antico di Roma, quell'Argentina, inaugurato nel 1732, recentemente restituito urbanisticamente alla città liberato da quell'ingombrante capolinea del tram numero 8.
Un edificio simbolo del teatro borghese del settecento, proprio come il Robison Crusoe di Defoe è il simbolo del romanzo borghese settecentesco, della cultura colonialista occidentale nella quale il buon selvaggio Venerdì è il ricettacolo di una Verità proferita da Robinson in quanto bianco, occidentale, inglese e cristiano.
Un personaggio insopportabile, oggi, che Michel Tournier, discepolo di Lévi-Strauss, riscrive dando stavolta la parola a Venerdì (tanto da intitolargli il libro Venerdì o il limbo del Pacifico), facendone il protagonista, mentre Robinson è l'altro-da-sè contro il quale (de)costruire la nostra identità di persone occidetali.

Affascinato da questo cambio (ideologico) di prospepettiva MK di Michele Di Stefano appronta uno spettacolo che restituisce coreuticamente e storicamente gli stadi di una costruzione culturale (in senso antropologico) dell'io,  attraverso l'esplorazione dello spazio circostante in un continuo rinegoziamento prossemico della distanza tra il me e l'altro da me, splendidamente restituito, sulla scena, dallo scontro incontro di monadi danzati, i tre ballerini e le due ballerine dello spettacolo il cui movimento nasce sempre da una risposta all'esplorazione dello spazio tanto propria quanto altrui.

Prima ancora dei riferimenti segnici ai personaggi di  Venerdì e di Robinson (restituiti, senza distinzione tra danzatori e danzatrici, con i costumi sui quali compare la lettera R o la lettera V) mentre un Venerdì mezzo giallo e mezzo nero (ma con i pantaloni mezzi yankee mezzi british) presenzia allo spettacolo con autorevolezza,  ora dando significato con la sua sola astanza, ora muovendo i personaggi feticcio del romanzo di Defoe con un quasi invisibile sottile filo metallico, il nucleo centrale da cui lo spettacolo parte è il movimento del singolo danzatore, della singola danzatrice.
Un movimento che non viene dato per scontato ma al quale si approda, dopo una prima esplorazione da fermo, del territorio palcoscenico spazio coereutico da parte di un primo danzatore, tramite la conta dei passi  (cadenzati nella partitura sonora) mentre un nume nube dispositivo (una sorta di materassino modulare argenteo appeso a dei fili e manovrato in modo da spianarsi o incurvarsi) riflette l'unica luce disponibie in scena mantenendo danzatore e personaggio Robinson in uno spazio in penombra che solo il movimento della danza vedrà finalmente in luce.

Così mentre la danza-movimento si fa correlativo oggettivo di quella ricerca tra l'antropologico  e il sociale della necessità della de-costruzione dell'io etnocentrico così come la intende Tournier la coreografia di Di Stefano si fa memore della ricerca della danza contenporanea (da Marta Graham a Pina Bausch) e ogni movimento non si rifà nè cita o omaggia quelle grandi coreografe ma, in un ripensamento della danza, prende da lì le mosse, in un iterscambio tra storia e romanzo, tra danza e antropologia, tra società e ideologia, tra danza stroicamente codificata e ricerca coereuitica dove il centro di gravità è quel movimento continuo con cui uomini e donne, umanità in cammino, tramutano in ogni minuto secondo una caduta verso il basso (attratti e attratte dalla forza di gravità della Terra) in un passo che si fa movimento e dunque danza.

Proprio come Tournier ripensa un elemento della cultura letteraria occidentale per approntare un discorso nuovo e autonomo Di Stefano ripensa la nostra cultura coreutica  per una ricerca che prescinde dai corpi sessuati, dove ballerini e ballerine performano i due personaggi maschili e dove le differenze anatomiche non pretendono alcuna diferenza di specificità performativa (così che le donne portano gli uomini) mentre i movimenti eslorativi degli a solo vengono ripresi e duplicati nei passi a due e in quelli di gruppo, secondo una grammatica coreografica mai nervosa ma sempre  di grande e coerente eleganza.

Caratteristica del corpo di ballo allestito e scelto da Di Stefano per MK è l'eterogeneità del percorso formativo di ogni singolo e singola componente del gruppo, accentuata e riconosciuta anche da una diversa codifica del costume che contrappone all'attore Venerdì (quello di nero e giallo truccato) il corpo statuario dalla postura perfetta acquisita dagli studi di danza classica di Francesco Saverio Cavaliere (che indossa un pataoncio dorato) mentre gli altri e le altre performer, proveneinti da altri percorsi di sutidio, vestono abiti a-sessuati di un colore neutro  (complici le luci che contribuicono a cancellare le differenze fisionomiche) dove la diferenza del personaggio interpetato è tutta inscritta nel segno della lettera che hannno stampata alle spalle.

La partitura musicale, di Lorenzo Bianchi Hoesch, che non è mai il motore dell'energia coreografica che nasce tutta dal movimento (lo testimoniano alcuni passi fatti senza supporto sonoro alcuno) ma contribuisce piuttosto al riverbero emotivo che una tale operazione ha tanto su chi la coreografia la guarda quanto su chi la fa, completa uno spettacolo impeccabile che, nel suo nitore formale, è molto più vicino alla leterratura di quanto la danza non sia normalmente vicina alla scultura.

Un segno intellettivo più che emotivo che potrà far storcere il naso a chi della danza ha una visione più tradizionale ma la cui scelta estetica, date le sue premesse, è necessaria e inderogabile.

 

Visto il 07-02-2014
al Argentina di Roma (RM)