Ulisse, l'ultima odissea... di Giuliano Peparini è uno spettacolo in cui immergersi, in cui lasciarsi attraversare da parole e ritmi, tra i tanti corpi fluidi ed espressivi, tra musiche e immagini, tra ombre, luci ed effetti speciali.
GLI SPETTACOLI
IN SCENA IN ITALIA
Lo spettatore viene colpito contemporaneamente da stimoli diversi in cui la contaminazione di linguaggi espressivi tra parola, musica, danza e immagini crea un coinvolgimento a diversi livelli: se non è la storia o la narrazione ad appassionare sono i movimenti ritmati, a volte acrobatici o la tensione di più corpi, o il lasciarsi accarezzare dalla musica o dalla bellezza di un’immagine.
Un coinvolgimento senza soluzione di continuità. Lo spettacolo diventa un viaggio in cui l’attraversamento di nuove strade formali si aggiunge al sapore antico della storia.
Un frenetico aeroporto
Il primo elemento che sa di ‘attualizzazione’ è lo scenario. Siamo in un aeroporto. Luogo noto a tutti dove tanti passeggeri vestiti uguali, con valige uguali, entrano, passano, vivono lo spazio con una gestualità a ritmo sincopato e veloce. La frenesia del tempo è resa dalla sincronizzata plasticità dei ballerini-attori. Ma poi arriva la crisi, l’evento che fa saltare il ritmo: una tempesta ferma tutti gli aerei. L’aeroporto da luogo di partenza diventa un luogo di arresto: è là che il viaggio diventa un’odissea, è là che può esserci lo ’zampino degli dei’.
Così avviene che mentre il contesto racconta la storia di un aeroporto, in uno scenario che sa di contemporaneo, fin dalle prime parole prende vita l’antica storia di Ulisse e del suo desiderio di ‘ritorno’ alla sua patria, dalla sua famiglia.
L’aeroporto con i suoi sedili, con i suoi banconi di imbarco movibili, con i suoi hostess e pulitori diventa solo un pretesto, aggiunge spunti ulteriori di riflessione sul senso della storia di Uisse mentre il racconto resta quello classico.
La voce e il corpo
L’aeroporto è anche un pretesto narrativo, un espediente che permette di selezionare e raccontare liberamente le vicissitudini di Ulisse, intervallandole con un ritorno alla dimensione dei viaggiatori in attesa del proprio l’aereo. Lo spazio viene sdoppiato in due dimensioni temporali che alternandosi creano una libertà nella sequenza narrativa.
La fine della prigione dalla ninfa Calipso, la tempesta nel mare, la disavventura nella terra dei lotofagi, l’inganno del cavallo di Troia, l’accecamento di Polifemo, l’incontro con la maga Circe e la trasformazione dei suoi compagni in maiali, la discesa negli inferi con l’incontro con Tiresia e la madre, l’incontro con le sirene rosse sinuose e aggressive, pendono voce e corpo saltando da un piano narrativo all’altro.
Tutti intensi gli attori, interpreti di grande impatto, con un’impostazione classica e mai sopra le righe. Ogni attore è voce innanzitutto, di cui sa gestire e rendere reale l’interpretazione, ma è anche corpo. Odisseo, stimolato da un aedo d’eccezione come Massimo Cimaglia, e dal coro di viaggiatori si racconta, di scena in scena.
Giuseppe Sartori è un interprete di grande efficacia, serio e impassibile, arguto e sottile come Ulisse, ma capace di esprimere intense emozioni con il suo corpo. Connesso con tutti i suoi compagni con cui riesce a costruire scene di grande tensione fisica. E tutti gli altri interpreti, Giulia Fiume (Calipso, Anima di Anticlea), Alessio Del Mastro (Lo spazzino, Anima di Tiresia), Giovanna Di Rauso (Circe), Gabriele Beddoni (Argo, Un barbone), Domenico Lamparelli (Eolo) hanno una forza che si completa nel loro agire.
L’ironia di un racconto per immagini
Oltre il testo ci sono dei video, c’è la musica creata dal gruppo canadese Reuben and the Dark, ma soprattutto c’è l’azione. E non smette mai di sollecitare lo spettatore. Ogni storia diventa come un quadro in cui il corpo diventa parte di immagine e resta nella memoria. Dai voli rocamboleschi in aeroporto di viaggiatori persi nella frenesia, a ognuna delle situazioni raccontate da Ulisse.
I compagni-maiali con Circe, le sirene ammalianti tutte in rosso a cui fanno da contraltare i volti dei marinai concentrati sulla loro rotta, alle scene di Polifemo con lo spazio superiore della scena utilizzato come luogo altro.
Sono davvero tante le immagini e i colori, espressi dalla bravura di scenografi come Cristina Querzola, Lucia D’Angelo e di costumisti come Valentina Davoli. L’elemento che ritorna è il gioco ironico e immaginifico continuo.
Come nella scena in cui Polifemo (anche qui uno splendido Massimo Cimaglia) affamato, nella parte alta della scenografia, che mangia un uomo del gruppo di Ulisse, che viene rappresentato da un orsacchiotto che fa a pezzi. O come quando lo accecano e l’occhio di Polifemo diventa una palla autonoma che viene trafitta. Spunti, immagini che strappano un sorriso.
Insomma uno spettacolo denso, energico, gioioso e reale quanto basta, che ha entusiasmato il pubblico espresso dal lungo applauso. E poi, si apre il portale, il tramonto di sfondo, Ulisse con la valigia in mano in controluce il ritorno a casa.