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UNO SGUARDO ESTRANEO OVVERO COME LA FELICITà è DIVENTATA UNA PRETESA ASSURDA

La felicità? Sottrarsi alla dittatura del quotidiano

Uno sguardo estraneo...
Uno sguardo estraneo...

Paolo Costantini, classe 1996, vincitore nell’estate scorsa del Concorso Registi Under 30 della Biennale Teatro, debutta a Venezia nell’edizione 2021 con Uno sguardo estraneo ovvero come la felicità è diventata una pretesa assurda, liberamente ispirato all’opera poetica di Herta Müller, per la drammaturgia di Linda Dalisi e l’interpretazione di Evelina Rosselli e Rebecca Sisti.

La ricerca della felicità

Due giovani donne spostano una sedia, un comò, cumuli di vestiti e di scarpe, un telefono, un mocio per il pavimento. Si muovono dapprima lentamente, poi in modo sempre più frenetico, sezionando lo spazio in diagonale, lasciando lungo il cammino i singoli oggetti, come fossero le briciole di Pollicino. 

Invece la favola è un’altra, ovvero quella che raccontano alternativamente le due protagoniste: l’apologo della formica e la cicala, del lavoro e del riposo. E intanto il tempo scorre, segnato da un metronomo che si muove sulla scena a bordo di un robot aspirapolvere e da una sveglia che trilla a più riprese, finché non viene definitivamente smontata. 

Uno sguardo estraneo...


E’ in questo rapporto con gli oggetti che Costantini approfondisce il senso dell’esistenza e dell’umana felicità: la sedia trema ed emette ronzii, il comò sanguina dai cassetti che si aprono da soli, l’essere umano spersonalizzato nell’ossessione di cambiare continuamente vestiti e scarpe chiedendo(si) “Sto bene?”. Il controllo ossessivo della propria esistenza, “togliersi l’abitudine di credere a ciò che si vede” ripete più volte una delle interpreti, è diventata per l’uomo l’unica necessità.

E poi c’è Herta Müller

Come spiega lo stesso Paolo Costantini nelle note di regia, la storia della donna senza nome convocata dagli organi di una dittatura (da Oggi avrei preferito non incontrarmi di Herta Müller), resta una traccia di fondo, una linea guida che si frammenta nella contemporaneità dell’atto performativo. 

Uno sguardo estraneo...


Quello che viene fuori è la quotidianità delle due donne, la difficoltà del loro reciproco relazionarsi, il senso di oppressione generato dal rapporto con gli oggetti, la bolla esistenziale che sterza verso l’idealizzazione o il rimpianto del prima, ma poi cede alla frenesia dell’oggi. 

L’intero spettacolo fa appello alle armi primarie ed essenziali del teatro: il respiro, i silenzi, le immagini in libera associazione. Si costruisce così come una partitura dal sapore jazzistico (la Rosselli improvvisa perfino note su un sax), all’interno della quale le due donne si incontrano e si scontrano, scambiandosi spesso i ruoli e rinunciando alla narrazione. 

Ecco, è forse questo il punto dolente della messa in scena, probabilmente complice una drammaturgia troppo ripiegata su se stessa, cioè l’aver relegato la voce di Herta Müller a “rumore” di fondo: quando si ha a disposizione una Voce come la sua, forse varrebbe la pena concederle di più.

Visto il 04-07-2021
al Tese dei Soppalchi di Venezia (VE)