Prosa
ZIO VANJA

Zio Vanja, un microcosmo soffocante di esistenze insoddisfatte

Zio Vanja
Zio Vanja © Andrea Macchia

Il primo allestimento italiano della regista ungherese Kriszta Székely è una nuova edizione del celebre dramma cechoviano "Zio Vanja", che si pone come monito alle generazioni con-temporanee.

Il primo allestimento italiano della regista ungherese Kriszta Székely è una nuova edizione del celebre dramma cechoviano Zio Vanja, che si pone – in maniera talvolta forzata – come monito alle generazioni con-temporanee.

Complice la soffocante calura estiva della campagna russa, i personaggi si muovono (senza mai agire) in un microco-smo rappresentato da una serra, una sorta di “acquario” all’interno del quale consumano la propria esistenza, incapaci di sfuggire alla loro condizione di perenne insoddisfazione. L’adattamento è focalizzato proprio su questo mood, traslato nel-la quotidianità dell’uomo contemporaneo, il quale, pur conservando grandi aspirazioni, risulta incapace di agire, nella consapevolezza che il mondo intorno a lui sta andando in pezzi.

La percettibile contrapposizione interno/esterno emerge grazie all’adeguato e strutturato progetto sonoro di Claudio Tortorici; risultano, inoltre, determinanti gli essenziali arredi – perlopiù anacronistici – presenti nelll’acquario (un bollitore elettrico, una radiolina, un computer portatile…).

Personaggi incapaci di essere felici

Zio Vanja – nella spiazzante interpretazione passivo/aggressiva di Paolo Pierobon - esprime con la propria verbosità, colma di inaspettato livore (soprattutto nel secondo atto) le occasioni mancate, le aspirazioni deluse e il senso di fallimento, tema fondamentale del teatro di Anton Čechov. Ma l’essenza del suo personaggio non è solo parola; infatti la regia di Kriszta Székely si dimostra molto attenta alla corporeità.

In questo adattamento, il personaggio di Serebrjakov è stato pensato come un vanaglorioso regista di mediocri pelli-cole sperimentali, insofferente alla vecchiaia, ma comunque circondato da un’aura di fascino subìto dallo stesso Vanja e dalla sua svampita madre (Ariella Reggio): tratti di una personalità vanesia, ma forte, che l’interpretazione di Ivano Marescotti ha saputo incarnare, alternando magistralmente momenti di ridicola spensieratezza a toni deci-samente malinconici.

Il medico Astrov, interpretato da un appassionato e consapevole Ivan Alovisio, è il personaggio che si fa por-tavoce delle istanze politiche del testo di Čechov, che risultano comunque leggermente anacronistiche rispetto alla visione registica, fortemente attuale, di questo adattamento.

Come falene attirate dalla luce

I personaggi di Serebrjakov, Vanja e Astrov formano idealmente un “triangolo maschile carico di tensione” (anche corporea), originato dalla modalità con cui si relazionano tra loro e con il personaggio di Jelena (Lucrezia Guido-ne): una giovane donna, forse insofferente, che compie gesti normali e, nonostante queste attira sé tutti i componen-ti maschili della famiglia, che le si avventano come falene contro la luce.

Ma quando Serebrjakov e Jelena partono, la routine quotidiana riprende come prima, e il resto è silenzio; un silenzio interrotto solamente dalle malinconiche note de L’immensità, nella versione cantata da Milva.

Visto il 09-01-2020
al Carignano di Torino (TO)