Una nuova produzione per lo Stabile ed un nuovo testo poco conosciuto (e mai rappresentato in Italia) di un autore celebre: in questo caso, Joseph Conrad. Edizione del 1923 del romanzo pubblicato quattordici anni prima, L’agente segreto prende spunto da un fatto di cronaca londinese, cioè il fallito attentato dinamitardo all’Osservatorio di Greenwich, nel 1894, da parte dell’anarchico Martial Bourdin. Dentro una bellissima scenografia (di Valeria Manari) fatta di muri tappezzati di manifesti, di lamiere e di pannelli scorrevoli, sembrano incastrati personaggi piccoli e “normali”, mai a “tutto tondo”, trasportati in una faccenda più grande di loro. L’anonimo sopravvivere della spia fallita Verloc, così, viene bruscamente interrotto dall’ordine, venuto “dall’alto”, di compiere un atto sensazionale, “per smuovere le coscienze e suscitare grande allarme sociale”, in un mondo dove forti e deboli smettono i panni che il loro ruolo impone, per limitarsi a trascinarsi attraverso il passare del tempo. Il mondo di coloro che si considerano i forti, per nascita o per posizione, mette in moto un ingranaggio diabolico e distruttivo. La sfera privata è invasa e devastata: la morte del giovane cognato di Verloc nell’innescare la bomba, la pazzia della giovane moglie della spia, Winnie, l’incredulità, alla fine di tutto, dell’Ispettore Heat, la piccolezza del Professore, prigioniero della sua follia, l’inutilità dei discorsi di Michaelis, Ossipon e Yundt, personaggi filosofico-anarchici simbolo di come ci si può illudere di pensare il mondo, la giustizia, la differenza sottile e, spesso, inesistente, tra i criminali e le cosiddette persone “perbene”. Accompagnati dalle belle musiche di Andrea Nicolini, i personaggi (resi estremamente vivi, in un’ottima prova, da attori giovani e formatisi alla Scuola dello Stabile) si intrecciano e si distruggono, mettono in atto quel cannibalismo che l’anarchico Yundt sostiene sia applicato da una minoranza nei confronti del resto della società. E’ un’autodistruzione in nome di ideali, di necessità o di dottrine, che vede la sua espressione ultima a partire dal gesto del personaggio più debole e “meno negativo”, usato dalla follia e dalla disperazione di chi non ha scelta, di chi è disperato e incastrato nel suo ruolo. Un testo complesso (con alcune lentezze) e molto intenso, disarmante nella sua attualità. Un dramma che non si sente troppo lontano, anzi, ripercorre paure e incubi propri dei nostri giorni.
Genova. Teatro della Corte, 15 gennaio 2008
Visto il
al
Biondo (Sala Grande)
di Palermo
(PA)